IDEOLOGIA PATOLOGICA
di Adriano Voltolin
Maurice Godelier scrisse una volta che c’è un modo di fare storia che ne falsifica il profilo fin dall’impostazione del lavoro di ricerca: il modo è quello di riconoscere un fatto piuttosto che di conoscerlo. Questa osservazione dell’antropologo francese non vale solamente per gli storici, ma anche per tutti quegli scienziati che, per dirla con Bion, fanno della memoria, e sommessamente anche del desiderio, l’asse portante del loro lavoro.
L’insufficiente capacità di contenimento è certamente un problema di non poco conto in un dibattito sulla metodologia scientifica, ma assume un profilo diverso e più preoccupante quando si fa sapere diffuso, ideologia basata sul pregiudizio.
Già svariati decenni fa era stato osservato come il far seguire la nazionalità o la provenienza regionale ad una qualificazione negativa, come per esempio ladro o assassino, procurava un’associazione tra il primo ed il secondo termine per la quale la qualificazione negativa viene estesa a tutti coloro che provengono da quel paese o da quella regione. Si tratta, retoricamente, della tecnica che gli studiosi del gruppo di Liegi hanno chiamato metalogismo: due oggetti diversi vengono resi uguali in forza dell’avvicinamento linguistico o visivo. Goffredo Fofi aveva ben posto in risalto questo meccanismo ai tempi della grande immigrazione meridionale a Torino quando su La Stampa potevano comparire notizie su un furto dove l’autore del medesimo era indicato come pugliese, napoletano, calabrese se proveniva da queste regioni, mentre se il ladro era piemontese o lombardo alla qualifica di ladro non era associata alcuna provenienza geografica. Quindi, se il ladro era piemontese si poteva commentare, nei bar e sul tram, che i furti erano troppi ac similia, ma se era invece calabrese allora si sosteneva che, certo, i ladri vengono dalla Calabria e che quindi tutti i calabresi sono ladri.
Il distinguere una cosa dall’altra, sostiene Freud, implica una fatica mentale che invece è risparmiata ogni volta che si pensa che “tanto non cambia mai nulla”. Non distinguere è in effetti una patologia mentale che tendenzialmente potremmo pensare come molto modesta, giacché non sempre e non in tutti i campi è esiziale distinguere: se non mi interessa il gioco del calcio posso dire che il Milan, l’Inter o la Juventus sono tutti uguali e ciò non rappresenta un problema. Il disturbo diviene però più importante se l’incapacità di distinguere diviene un’inibizione del pensiero: sempre per stare al mondo del calcio, se ho presente che il sostenitore della squadra avversaria è un avversario posso al più cercare di prenderlo un po’ in giro, ma se lo penso come nemico allora debbo combatterlo, danneggiarlo e anche ucciderlo.
I mezzi di comunicazione come televisione e giornali hanno quindi, all’interno della comunità, una funzione importantissima nel fornire ai propri lettori o ascoltatori una notizia di un fatto corredandolo di un’analisi il più specifica e precisa possibile. Funzione questa tradita ripetutamente quando si pensi che la notizia che procura sdegno fa vendere di più il prodotto. Se si fa mente locale alla successione di certe notizie in un telegiornale il meccanismo appare più chiaramente: se, ad esempio, il direttore immagina che la notizia del tradimento coniugale di un famoso attore o cantante non sia meno importante di quella di un colpo di Stato in un paese dell’America centrale, il telegiornale darà le due notizie in immediata successione, ma se il colpo di Stato, magari con centinaia di morti, è avvenuto in un paese della costa occidentale africana, la prima notizia è enormemente più importante della seconda giacché molti ascoltatori nemmeno probabilmente sanno dove sia, ad esempio, la Sierra Leone.
Nelle settimane scorse vi sono stati due fatti, quello del locale da ballo marchigiano e l’uccisione di alcune persone da parte di uno squilibrato a Strasburgo, che hanno molto impressionato la pubblica opinione.
Come molti sapranno, nel primo caso la malaugurata idea di un ragazzino di usare uno spray al peperoncino ha scatenato il panico e tutti si sono affrettati a cercare di uscire rimanendo prima intrappolati dalle uscite di sicurezza chiuse e poi alcuni sono stati travolti da una passerella crollata sulla quale si accalcavano un migliaio di persone. Si trattava di una folla nella quale moltissimi erano i ragazzini addirittura sotto i quindici anni e nella quale l’uso di alcol e probabilmente di qualche sostanza non erano certo improbabili. La disgrazia, dovuta certo anche a un gestore poco previdente, ha visto comunque coinvolti dei giovanissimi in così tenera età da far scatenare critici, sociologi, ma anche, ahinoi, una certa psicoanalisi mainstream, sull’inopportunità di far uscire la sera ragazzi così giovani, sull’assenza della figura paterna, sull’utilizzo pandemico degli attuali cellulari-computer e così via. Bastava prestare un po’ d’orecchio per cogliere, dagli stessi mezzi di informazione, che nel locale stavano probabilmente il triplo delle persone consentite, che il numero di biglietti staccati è più inconoscibile delle origini dell’universo, che l’assicurazione per questi locali non è obbligatoria, che le uscite di sicurezza, tranne una, erano chiuse e che la passerella precipitata aveva la solidità dei ponticelli in stile giapponese dipinti da Monet. Certamente, e lo abbiamo fatto anche noi come SPC in molte occasioni, una riflessione sulle famiglie oggi, sul ruolo dei genitori e della scuola va fatto, ma non si può ridurre quanto è successo in quella sala ad una disgrazia che forse si poteva evitare se il gestore fosse stato un poco più attento. La criminalità che viene dall’idea di sfruttare a più non posso un lavoratore, una posizione di vantaggio sul mercato, un evento di grande interesse pubblico non è minore di quella di chi compie un omicidio o riduce in stato di schiavitù delle persone. Si tratta, nello sfruttamento, di poter contare su una generale sottovalutazione della portata criminale della pulsione orale lasciata senza freni (Brecht si chiedeva se era un maggior crimine svaligiare una banca o il fondarla). La patologia ed il crimine nella nostra ideologia sono separati: si può commettere un crimine perché la patologia conduce a questo, come in Psycho di Hitchcock, e, quando questo accade, il crimine è commesso in uno stato di incapacità di intendere e di volere. E’ evidente che in tal modo, come sottolineava Basaglia, si può trattare psichiatricamente il malato riducendo il suo gesto a qualcosa commesso fuori dalla ragione. Non si ha mai allora un gesto che ha delle cause sociali che si sono sviluppate in patologia e che richiede quindi interventi sia medici che economici e sociali. Nei casi come quello di Corinaldo, l’organizzatore della serata, per la nostra ideologia dominante, non è un criminale che ha messo a repentaglio la vita di mille ragazzi per sete di guadagno, ma un imprenditore un po’ birichino e imprudente. Tantomeno è un individuo che soffre di una patologia: è un imprenditore.
Il secondo fatto è quello del gesto omicida di un uomo nato e abitante nella stessa Strasburgo che ha sparato sulla folla ad un mercatino natalizio. L’uomo, con una vita da marginale alle spalle, come ci dicono gli stessi media, era stato più volte in carcere per reati comuni, era alcolista e consumatore di sostanze. Come è spesso successo, personaggi di questo tipo, con maggiore facilità se hanno origini magrebine, si identificano con l’ideologia stragista dell’ISIS dando una veste ideologica e religiosa alle proprie difficoltà economiche, sociali e psicologiche. Si tratta di una banale proiezione della colpa per cui responsabile dei propri fallimenti non è più, nemmeno marginalmente, il soggetto, bensì l’oggetto nel quale la responsabilità è stata proiettata. Più volte abbiamo visto poi accadere che sulle azioni di tali persone disturbate, l’ISIS, a cose fatte, “mette il cappello” proclamando questi infelici malati, soldati della fede.
I nostri media sembrano afflitti da sindrome scissoria perché da un lato danno quelle informazioni che tutti possono leggere e che ho semplicemente riportate, mentre dall’altra parlano di attentato terroristico come se alle spalle di Chekatt, tale è il nome dell’attentatore di Strasburgo, vi fossero un’organizzazione capace e delle solide convinzioni religiose e politiche.
L’idea di essere perseguitati, in quanto cittadini occidentali, da un’organizzazione criminale che vuole ucciderci per il nostro stato, quale era per esempio Al Kaeda, in quanto idea persecutoria, è destinata a produrre audience. Non importa quanto ciò corrisponda alla realtà, almeno in parte, o quanto sia frutto delle fantasie paranoidi. Ciò che è veramente importante è che la notizia sia appetibile e procuri ascoltatori e lettori. Il fatto che tutto ciò possa produrre non solo angosce, ma anche guerre, ritorsioni, emigrazioni di massa, torture nel futuro non importa nulla. L’unica cosa nella quale una scadente classe politica ed una intellettualità molto mediocre si dimostra fermamente keynesiana è nel pensare che nel lungo periodo saremo tutti morti. E se il periodo non è poi così lungo, a Keynes si può sempre sostituire Woody Allen: prendi i soldi e scappa.
La Società di Psicoanalisi critica promuove lo studio, la ricerca e la formazione nel campo della psicoanalisi di Freud e di coloro che dopo di lui ne hanno continuato l’opera.
Vuole valorizzare gli aspetti teorici e clinici che fanno della psicoanalisi una scienza che indaga le forze psichiche operanti nell’uomo, in quanto singolo individuo e negli uomini, nelle loro aggregazioni sociali.
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