IN MEMORIA DI PIERFRANCESCO GALLI
La lunghissima vita di Pierfrancesco Galli è stata contrassegnata certamente dai suoi lavori che ne
hanno fatto, oltre che uno psicoanalista, un operatore di cultura; basti citare la collana Feltrinelli,
inaugurata nel1958 dedicata alla psichiatria e alla psicologia clinica, la collana Boringhieri di
psichiatria e psicoterapia e, soprattutto, la fondazione della rivista Psicoterapia e scienze umane
edita da Franco Angeli nel 1968. Ma noi vorremmo sottolineare, per ricordarlo, il suo tragitto
formativo, non solo quello tecnico – fece due analisi, la prima con Benedetti a Basilea e la seconda
con Morgenthaler a Zurigo – ma quello culturale di ragazzo del ‘900 che gli fece incontrare, era
nato nel 1931 a Nocera Inferiore, la guerra e il sangue, come ebbe a scrivere, prima ancora di
compiere quindici anni, poi il dopoguerra, le speranze di rinascita di un intero paese, la militanza
nella sinistra, la psicoanalisi freudiana, il movimento del ’68, la grande riforma di Basaglia, gli anni
del terrorismo e delle Brigate Rosse sui quali scrisse una postfazione al libro di Adriano Voltolin
che era dedicato ad una rivisitazione da un vertice psicoanalitico di quelle vicende, ed infine i
lunghi anni del riflusso e della richiusura.
Pierfrancesco attraversò tutto questo permeato della grande cultura liberale napoletana – Mozart
disse che un concerto a Napoli valeva cento concerti in Germania – con il suo animus di desiderio
di chiarezza e di coerenza. La formazione che ebbe in Svizzera con Morgenthaler – il quale terminò
la sua vita in Africa mettendo a punto la sua ricerca di etnopsicoanalisi – rafforzò questo tratto
culturale nel quale lo spirito di ricerca non era mai disgiunto dall’idea che il malato, come ebbe a
dire in una lunga intervista, non era uno diverso dagli altri, non era separato. Questo lo aveva già
imparato a Nocera, città di quarantamila abitanti quando lui nacque, dove vi era un grande ospedale
psichiatrico e gli si confermò nei suoi studi a Napoli e soprattutto nell’esperienza zurighese.
La psicoanalisi, il lavoro del medico che si occupa di problemi della mente, non fu mai, per Galli,
un lavoro di riparazione di qualche cosa che è guasto, ma il tentativo, come disse, di aiutare il
paziente a rivedere ciò che lo riguardava mettendo a punto un possibile che era uno Zukunft, ma non
di una Illusion: si prova a fare con grande serietà qualche cosa che appare possibile, si prova, senza
sentirsi superiori a nessuno, facendo onestamente un lavoro onesto: per coloro che si prendono
troppo sul serio, diceva Pierfrancesco, a Napoli è sempre pronta una pernacchia.
Ultimi eredi della migliore cultura borghese, la meglio gioventù, che nacque attorno alla metà del
‘900, affrontò il mondo e il mestiere di vivere con grande rigore e severità, provando a cambiarli in
meglio, senza riuscirvi, ma, come il sarto di Ulm citato da Pietro Ingrao, senza sentirsi sconfitta.
Anche la psicoanalisi doveva mantenere, nonostante le avversità e gli esempi vergognosi di
psicoanalisti brasiliani ed argentini che collaborarono con le dittature militari, la sua impronta
rigorosa. Galli tenne, alcuni anni or sono, una meravigliosa conferenza a Milano sulla storia della
psicoanalisi milanese nella quale evidenziò come, accanto alle differenze che pur vi erano tra di
loro, vi fosse una linea di continuità a Milano tra psicoanalisti che ritenevano la psicoanalisi non
fosse uno strumento di adeguamento del soggetto alla regola, ma, al contrario, un’opportunità per il
soggetto di fare i conti con la regola: non una riduzione, ma un’opportunità. Galli citò tra gli altri
Elvio Fachinelli, Enzo Morpurgo, Franco Fornari, Diego Napolitani e sottolineò come la Società di
Psicoanalisi Critica, alla quale aderì convintamente, si muovesse in questo solco in tempi nei quali
la psicoanalisi si avvicinava all’estinzione, come aveva previsto Jacques Lacan, non tanto perché
non vi sarebbero stati più psicoanalisti, ma in quanto l’ideologia medicalista stava riducendo il
lavoro psicoanalitico ad una restitutio ad integrum, cioè all’esatto opposto di quello che aveva
espresso Freud.
La curiosità, tratto fondamentale del modo di essere di Galli, lo aveva portato non solo ad
interessarsi di un sacco di cose, scrisse da competente, di cinofilia e in particolare della razza Chow
Chow alla quale appartenevano i cani di Freud, ma di cui, soprattutto, era appassionata la moglie.
Ebbe grande passione anche per le belle auto, soprattutto le cabriolet, per il poker – creò un gruppo
di colleghi che si chiamò il gruppo poker – per il buon cibo.
Addio Pierfrancesco, grande uomo del novecento. Ci lasci la curiosità, la passione, la generosità e la
costanza come eredità. Non ne faremo un cattivo uso, o almeno ci proveremo.
SOCIETA’ DI PSICOANALISI CRITICA