Umberto Eco: fra semiologia e mediologia
La morte di Eco ha lasciato attonita l’intera città: alcune migliaia di milanesi sono state al suo funerale, esprimendo un sentito cordoglio. Si trattava probabilmente di persone che non conoscevano le sue opere più significative, ma avevano per lui una sorta di venerazione, forse a causa degli scritti più popolari, ai quali spesso aveva dedicato un ingegno proteiforme, affrontando le più svariate questioni della vita quotidiana, dalle strategie del complotto ai problemi del dolore fisico, o mettendo in atto grandiose costruzioni fantastiche nei suoi romanzi. In tutti questi casi egli esprimeva il desiderio barocco di stupire, che riferiva ad Aristotele, per il quale la stessa filosofia era “la risposta a un atto di meraviglia”.
Il grande successo sociale del Nostro si verifica nella diffusione delle sue opere:Il nome della rosa fu tradotto in quarantasette lingue e stampato in trenta milioni di copie. Sarebbe però ingiusto parlare di Umberto Eco solo in questi termini.
Già nel 1962, a trent’anni, egli pubblicava Opera aperta, testo destinato a creare scandalo presso gli ambienti culturali, non solo in Italia, ma anche all’estero. Nella seconda edizione egli si compiaceva di aggiungere, a mo’ di prefazione, vari stralci degli infiniti commenti, ora entusiastici, ora fortemente polemici, che si erano succeduti in un periodo di tempo relativamente breve. Fra l’altro, egli scriveva:
Non ho mai visto gente così offesa: sembrava che avessi insultato le loro mamme!Furono anni di grande divertimento1.
La novità provocatoria consisteva nell’uscita dalla filosofia crociana alla quale troppo spesso anche gli intellettuali di sinistra facevano riferimento, ancora negli anni sessanta. Le proposizioni inconsuete contenute in Opera aperta erano sostanzialmente due: anzitutto si dichiarava che un testo possiede una struttura chiaramente definibile, uscendo dal paradigma dell’intuizione ineffabile che per gli idealisti sembrava dover caratterizzare l‘opera d’arte. Il lettore inoltre, per quanto riguarda l’estetica della ricezione testuale, non era un soggetto puramente passivo, ma aveva una sua attività, capace di contribuire attivamente a dare un senso al testo; qui Eco sembra precedere alcune teorizzazioni di Stuart Hall, che peraltro lo cita, insieme a Peirce e a Volosinov, nel suo fondamentale Encoding and Decoding, pubblicato una decina d’anni più tardi2.
In quest’ottica si possono leggere due saggi usciti di lì a poco: l’Elogio di Franti e la Fenomenologia di Mike Bongiorno, pubblicati entrambi nel Diario minimo(1963). Nel primo, Eco aveva semplicemente sottolineato certe frasi che risultavano sì nel testo, ma erano in certa misura occultate dalla visione complessiva. A questo punto il Nostro, nel ruolo di lettore attivo, ribalta il senso del discorso, mostrando la “malvagità” melodrammatica di Franti come l’espressione di un conflitto sociale e non come una sorta di predestinazione lombrosiana.
La madre di Franti che si precipita in classe a implorare perdono, affannata, coi capelli grigi arruffati, tutta fradicia di neve, curva e tossicchiante, ci lascia capire che Franti ha dietro di sé tutta una condizione sociale, una stamberga malsana e un padre sottoccupato, che spiegano molte cose3.
Cose che i compagni di Franti, tutti presi dai loro “buoni sentimenti” ipocriti, non possono e soprattutto non vogliono capire.
…È naturale che in questo crescendo di accuse e di infamie la nostra simpatia vada tutta a Franti; anche De Amicis non rimane indifferente di fronte a tanta grandezza e mai la sua scrittura è stata più tacitiana, nobilitata dalla materia…Tale accumularsi di nefandezze è troppo wagneriano per essere normale, sfiora il titanico…lo voglia o no l’autore 4.
Qui ovviamente il problema non è dare un giudizio su usi e costumi della Torino umbertina, bensì riconoscere che il lettore possiede delle strategie interpretative, capaci di reinventare il contenuto apparente del testo, anche al di là delle intenzioni dell’autore, al quale certe frasi sembra siano sfuggite dalla penna. Eco sembra ignorare in linea di massima le problematiche a carattere psicoanalitico, ma il discorso su Franti fa pensare a certi passi della Psicopatologia della vita quotidiana, dove le cose sfuggono a coloro che le agiscono.
In termini analoghi possiamo intendere il brevissimo Fenomenologia di Mike Bongiorno (1961), dove la struttura del testo viene riletta in vista della percezione da parte dello spettatore. Si tratta di uno dei primi esempi di critica televisiva dove il noto presentatore costituisce un pretesto per parlare della massificazione operata dalla televisione e della mediocrità dei modelli culturali che essa propone al suo pubblico.
Mike Bongiorno convince dunque il pubblico come un esempio trionfante del valore della mediocrità…Egli rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere, perché chiunque si trova già al suo livello…In lui si annulla la tensione fra essere e dover essere5.
In Opera aperta, ancora alle strategie interpretative è dedicato Il caso e l’intreccio, dove si parla del montaggio di una ripresa televisiva in diretta e si mette in evidenza la dimensione attiva del regista, che reinventa la realtà, e spesso la mistifica, pur simulandone una lettura passiva.
Sostanzialmente allo stesso tema è dedicato La trasparenza perduta 6 del 1983, dove, ironizzando sul miracolismo della diretta televisiva, in auge in quel periodo, Eco fa l’elogio della “veterotelevisione”, tutto sommato meno autoritaria e meno manipolativa. Significativo in questo senso il confronto qui messo in atto tra il ”vecchio” filmato sul matrimonio di Grace Kelly con Ranieri di Monaco, avvenuto venticinque anni prima e il “nuovo” documento sugli sponsali di Lady Diana col principe Carlo, per la cui realizzazione in diretta televisiva era stata messa sotto ferreo controllo tutta quanta la scena, da Buckingam Palace alla cattedrale di Saint Paul, compresi addirittura gli escrementi dei cavalli che trasportavano le carrozze reali! Qui la lettura televisiva dell’avvenimento in diretta, ben lungi dall’essere passiva, o neutrale, era risultata invadente e prevaricante, capace non di leggere, ma di reinventare completamente la realtà. II Nostro reinventa ulteriormente questa diretta, spiegandocene il senso, al di là delle intenzioni del regista e dell’apparato, ma restando all’interno del testo televisivo, che non viene prevaricato.
Il tema del rapporto fra soggetto e oggetto ricompare in Kant e l’ornitorinco (1997). Se Opera aperta
apriva uno spazio per il soggetto che decodifica un oggetto in fin dei conti elastico, in questo testo Eco tiene a definire che l’oggetto esiste, con dei contorni comunque definiti,anche quando il nostro soggetto non disponga delle forme classificatorie atte a percepirlo. Qui Eco costruisce il caso ipotetico di Kant, trasferitosi in Australia, che potrebbe aver incontrato un ornitorinco, animale di cui i biologi del Settecento non avevano ancora dato una definizione e pertanto non risultava inseribile nelle forme a priori già codificate, ma nonostante tutto esisteva. È in sostanza ciò che accadde quando gli aztechi videro per la prima volta i cavalli dei conquistadores, animali sconosciuti in Messico. La morale del discorso consiste nel dire che il soggetto ricevente può avere una sua creatività nel decodificare, ma non può annullare completamente le caratteristiche dell’oggetto percepito: l’ornitorinco può essere inteso come un animale di una specie o di un’altra, ma non può in nessun caso essere percepito come un ristorante!7 Allievo fin dalla gioventù della tradizione scolastica, Eco non accetta la riduzione idealistica del mondo al mero soggetto conoscente. Egli sembra parlare husserlianamente della materia d’atto, che non solo esiste, ma sfugge sempre al tentativo di inserirla in uno schema creato dal soggetto. Questo discorso può essere inteso in relazione a ciò che un lettore, o uno spettatore, hanno il diritto di vedere attivamente in un testo, senza tuttavia forzarlo.
Quello di Umberto Eco è ancora oggi un impianto innovativo, che risultò particolarmente pregnante negli anni sessanta, quando riportò la cultura italiana nell’ambito del dibattito internazionale, uscendo da un idealismo ormai obsoleto. Il suo discorso susciterà qualche perplessità, o qualche insoddisfazione, negli psicoanalisti, per l’assenza di variabili relative al profondo, ma ne va comunque riconosciuta la fondatezza.
- Umberto Eco Opera aperta, Milano, Bompiani 1962, p VI [↩]
- Stuart Hall Codifica e decodifica (1973), in Antropologia e media a cura di M. Fagioli e S. Zambotti, Como-Pavia, IBIS 2005, p 70 [↩]
- Umberto Eco Diario minimo, Milano Mondadori 1963, p 88 [↩]
- Diario minimo cit. p. 92 [↩]
- Umberto Eco,Diario minimo, Milano Mondadori 1963, p 35 [↩]
- In Umberto Eco,Sette anni di desiderio, Milano Bompiani 1983, p 163 [↩]
- Achille Varzi Il nome della cosa,http://www.columbia.edu/~av72/papers/RivLibri(Review)_1998.pdf [↩]