SADICI DAL CUORE PURO*:REAZIONI ALLE MORTI DEI MIGRANTI NEL MAR MEDITERRANEO UNA LETTURA PSICOANALITICA
CORSO DI PERFEZIONAMENTO IN TEORIA CRITICA DELLA SOCIETÀ
UNIVERSITÀ DI MILANO-BICOCCA
di Fiorella Fioretto
Maggio 2019
UN BERSAGLIO UTILE
Il clima politico italiano attuale è teatro perfetto per l’osservazione di fenomeni di creazione di nemici allo scopo di mantenere e rafforzare un pregiudizio sottoculturale e di preferenza politica. La logica in base alla quale “s’aimer, c’est haïr le même ennemi : j’épouserai donc votre haine”[1] viene adoperata quotidianamente; in questo breve saggio prenderemo in considerazione alcuni social networks (in particolare le pagine ufficiali Facebook e Twitter del Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli Interni Matteo Salvini) come luoghi virtuali di aggregazione di un determinato gruppo di persone, quello che sostiene il Capitano quasi sempre e, quasi sempre, in maniera fondamentalmente acritica.
Le pagine di Salvini su Twitter e Facebook utilizzano una serie di bersagli per riunire e riconfermare il gruppo nella sua propria identità; tali bersagli variano a seconda dei fatti di attualità, ma possono essere sommariamente elencati come segue: comunità Rom, senzatetto, immigrati, comunità LGBTQ+, radical-chic, buonisti, sostenitori del Partito Democratico (definiti sarcasticamente pidioti), giudici/magistratura, professoroni[2] , giornalisti rosiconi, burocrati europei. Il popolo virtuale salviniano sembra rapportarsi in maniera più o meno omogenea a questi vari gruppi benché alcuni risultino forse più fruibili di altri. Ad esempio, sembra che i burocrati europei rimangano un’immagine relativamente lontana ed indefinita, mentre gli immigrati costituiscono un bersaglio vicino, identificabile, comprensibile a tutti.
È importante soffermarsi sulla rilevanza che il tema “migranti” riveste nella percezione italiana. La relazione offerta dall’Istituto Cattaneo mostra che:
“i cittadini europei sovrastimano nettamente la percentuale di immigrati presenti nei loro paesi: di fronte al 7,2% di immigrati non-UE presenti «realmente» negli Stati europei, gli intervistati ne stimano il 16,7%. Ma in questo caso il dato che riguarda l’Italia è quello più significativo: gli intervistati italiani sono quelli che mostrano un maggior distacco (in punti percentuali) tra la percentuale di immigrati non-UE realmente presenti in Italia (7%) e quella stimata, o percepita, pari al 25%.”[3] .
Al di là dell’analisi quantitativa e delle sue possibili interpretazioni[4], è indicativo come il dato numerico possa testimoniare la rilevanza psicologica che il tema “migranti” ha assunto nel nostro Paese, in altre parole, quanto grande sia lo spazio che tale questione occupa nella mente collettiva italiana. È per questo motivo che focalizzeremo la nostra attenzione sui migranti e, in particolare, sui commenti di tipo razzista pubblicati sui social networks a proposito del fenomeno dei mancati sbarchi, dei porti chiusi e delle conseguenti morti in mare.
GRUPPO IN ASSUNTO DI BASE E MITO
Non è difficile individuare nella comunità autrice di tali commenti l’incarnazione di un gruppo in assunto di base (adb) che ha trovato nella leadership della Lega il punto di attrazione intorno al quale riunirsi. Non intendo sostenere che questo gruppo non esistesse prima di ora, ma suppongo che vedere i propri assunti più o meno apertamente condivisi e promossi da un partito nazionale dall’ampio consenso elettorale, abbia contribuito a convalidare e legittimare i membri del gruppo nella loro posizione. Inoltre, le piattaforme virtuali hanno offerto una piazza dalla visibilità e possibilità di aggregazione potenzialmente globali. La costruzione della realtà vissuta dal gruppo può essere intesa come mito, nel senso proposto da Caroline Garland, ovvero come una versione delle convinzioni del gruppo (non necessariamente basata su dati ed osservazioni concrete)[5] che diventa realtà condivisa. Secondo la Garland, il mito riunisce i membri di un gruppo in ad in uno stesso stato mentale nel momento in cui le disposizioni e tendenze più primitive prendono il sopravvento[6]. E quindi:
“Il mito […] è il modo umano specifico per costruire e rappresentare a noi stessi un resoconto, o storia, sul mondo e sulla nostra collocazione nel mondo, in particolare in relazione ai nostri oggetti di transfert più potenti. […] L’espressione della storia attraverso il mito – o sogno – rende possibile un contatto, una relazione, tra il mondo interiore di un individuo e quello di un altro.”[7].
Sembra quasi una storia psicologica raccontata in frammenti, una sorta di saga tramandata oralmente e per sentito dire. In questa sede, ci soffermeremo su due caratteristiche del mito condiviso dal gruppo: il peculiare funzionamento del Super Io e il concetto di onnipervasività del leader.
Per quanto riguarda il primo punto, il gruppo incarna la partizione indicata da Bion tra Super Io e Super Io. Mentre quest’ultimo si riferisce alla funzione della formazione dei valori, il primo allude, invece, al Super Io sadico kleiniano: “il Super Io in un gruppo in adb è primitivo, moralistico e sadico perché nessuno tra i suoi membri può differenziarsi dalla mentalità di gruppo evitando però di essere visto come portatore di una eresia”[8]. Questa partizione consente al gruppo di passare da un atteggiamento comprensivo ad un Super Io intransigente a condizione che alcuni criteri vengano soddisfatti. Nello specifico, l’appartenenza o vicinanza (più o meno relativa) al gruppo sembra garantire la somministrazione del perdono/accettazione da parte del gruppo stesso. Al contrario, l’estraneità al gruppo risveglia una rigidità punitiva feroce e cieca davanti alle circostanze. In altre parole, persone che si professano ardenti cristiani (contro l’Islam) o difensori dei (sacrosanti!) diritti degli animali, ma augurano lo stupro, la morte o gioiscono della morte altrui, sono le stesse che vengono scusate, comprese o, addirittura, lodate dal gruppo con una serie di motivazioni o giustificazioni. Per converso, il migrante che, potenzialmente, rischia tutto, compresa la vita, per sfuggire a una situazione di pericolo ma arriva in Italia illegalmente, merita la punizione, merita il male e la morte.
Questo gruppo si presenta come gruppo in adb di attacco e fuga: i suoi membri sono motivati dalla rabbia e dall’odio[9] e sentono di dover combattere allo scopo di non essere annientati. In questo contesto,
“Il gruppo interpreta la realtà esterna a sé come un altro gruppo, o più gruppi, i cui membri godono di privilegi ingiusti, di un potere non legittimo, di una ricchezza immeritata perché sottratta a chi non la possiede: tutto ciò che il gruppo/gruppi nemico ha è il frutto di prepotenza e sottrazione esercitata sui membri del gruppo in adb di attacco e fuga.”[10].
Il capo che incarna l’adb del gruppo è, in questo caso, con un termine fra il nautico e il calcistico, un Capitano [11].
“Il leader di un gruppo in adb di attacco e fuga deve rappresentare nella maniera più forte l’aggressività e l’odio per l’esterno che costituisce il tratto distintivo di questo adb. Il leader di un gruppo in adb non ha mai la funzione di sintetizzare una posizione od un ragionamento del gruppo. La sua funzione è quella di soddisfare emotivamente il gruppo mantenendolo nella sua posizione in adb.”[12].
La struttura dei social networks permette di osservare un dialogo virtuale serrato fra il leader ed il gruppo: questi (o, meglio, il suo social media team) parla quotidianamente con il gruppo, i cui membri rispondono assiduamente. Sono numerosi gli esempi di commenti che testimoniano il livello di fede che il gruppo ha nel leader e nelle sue elevatissime capacità: mentre una parte di questi si riferisce al piano politico[13], altri si distaccano totalmente dalla realtà presupponendo una sorta di onnipervasività del leader che si estende anche a campi che non rientrano in alcun modo nelle competenze ministeriali[14]. Le caratteristiche del capo vengono spinte oltre, fino a sfociare in paragoni ed accostamenti con figure sovrumane, eroiche o divine[15]. E così, la capacità di lotta del Capitano diventa quella di un “gladiatore”; egli è l’eroe che protegge e salva[16]. Inviato da Dio, Salvini è “santo”, “apostolo”, “evangelista”, contrapposto a Papa Francesco. Paragonato direttamente a Gesù, Salvini viene invocato con strutture linguistiche[17] che ricordano addirittura quelle delle septem petitiones della preghiera del “Padre Nostro” (“dacci…”, “facci…”, “liberaci…”).
IDENTIFICAZIONE PROIETTIVA: UN DIVERSO NON COSÌ DIVERSO
Per quanto riguarda l’interpretazione dei sentimenti di odio espressi nei confronti dei migranti, specialmente verso quelli mai sbarcati in Italia poiché annegati nel Mediterraneo, suggerisco di utilizzare il concetto di identificazione proiettiva proposto da Melanie Klein in Notes on some schizoid mechanisms[18]. La Klein introduce il concetto di proiezione che diventa funzionale per il soggetto come mezzo di difesa dall’angoscia attraverso la liberazione da ciò che è cattivo o pericoloso[19] . Proiettando su un altro oggetto sentimenti di odio originariamente diretti verso il sé, si riesce, così, a confinare ciò che è cattivo nell’altro, ovvero al di fuori del sé. Nella situazione analizzata dalla Klein, i sentimenti d’odio per parti del sé si spostano e vengono diretti contro la madre/seno. Nel bambino, poi, la scissione tra seno buono e seno cattivo ha la funzione di preservare l’oggetto d’amore che, senza scissione, verrebbe distrutto. Particolarmente calzanti per la nostra analisi sono le seguenti parole:
“Questo [atteggiamento] porta ad una particolare forma di identificazione che stabilisce il prototipo delle relazioni oggettuali aggressive. Suggerisco di indicare tali processi con il termine di «identificazione proiettiva» […]. Nei disturbi di tipo psicotico questa identificazione di un oggetto con le parti odiate del sé contribuisce all’intensità dell’odio diretto verso le altre persone.”[20].
I migranti agiscono da oggetto ottimale per i processi di identificazione proiettiva: essi sono quasi noi, ma non sono noi. In aggiunta, il fenomeno estremamente pubblicizzato dei porti chiusi e dei mancati sbarchi agisce, da un lato, da innesco del meccanismo di identificazione proiettiva e, dall’altro, immediatamente da garanzia interna di liberazione e difesa dal contatto contaminatore, in un circolo vizioso che si rafforza perpetuandosi. L’idea che i migranti vengano percepiti inconsciamente come bersaglio perfetto si basa su due tipi di commenti molto diffusi che operano in maniera complementare esaltando oltremodo le (poche) differenze e ignorando le consistenti somiglianze fra noi e loro. Vi sono, infatti, i commenti allarmati di coloro che temono che l’Islam possa sostituire il Cristianesimo[21] e, similmente, che si pretenda di eliminare crocifissi e presepi, oscurare simboli cattolici eccetera (esaltazione smodata delle differenze). Vi è poi la trita posizione che vede gli immigrati come coloro che vengono a rubarci la casa[22], le donne[23]e il lavoro[24]: in altre parole, gli immigrati hanno bisogno esattamente delle stesse cose di cui abbiamo bisogno noi poiché, in fondo, essi sono più simili a noi di quanto si voglia/possa concedere. Lo sforzo dedicato a sottolineare la distanza fra noi e loro è una chiara ammissione della reale vicinanza che non può essere apertamente riconosciuta altrimenti l’identità del noi (così come viene superficialmente intesa) verrebbe attaccata e costringerebbe a vedere in loro il nostro legittimo prossimo[25] (prossimità sia fisica, sia ontologica).
Finché la lontananza previene il rischio di contatto e contaminazione con questo diverso che non è poi così diverso, l’odio razzistico sembra essere contenuto, almeno in parte; tuttavia, nel momento in cui questo senso di protezione viene meno, il razzismo si scatena nella sua portata divoratrice fino a giungere ad un livello di distruttività e distorsione della realtà che include, come tratto di importanza primaria in questa lettura, “il raggiungimento di uno stato mentale speciale nel quale sono aboliti sentimenti ed emozioni”[26]. Troviamo, infatti, commenti in cui si esprimono, in chiari termini, sentimenti di gioia per la morte dei migranti annegati e si augura apertamente la morte ai superstiti[27].
“NON È COLPA NOSTRA”[28].
Ci si potrebbe chiedere, ora, quale gestione della colpa si possa individuare all’interno di tali fenomeni. A prima vista, si potrebbe pensare di adottare un’interpretazione simile a quella proposta da Recalcati nella sua lettura del libro di Giona, ipotizzando cioè che il senso di colpa sia del tutto assente e che si tratti, quindi di un “rifiuto dell’altro […] senza pentimento”[29]. Tuttavia, analizzando alcune tipologie di commenti ricorrenti, ritengo che si possa proporre una lettura più strettamente in linea con l’interpretazione kleiniana; nel succitato Notes on some schizoid mechanisms, infatti, la Klein analizza la gestione interna del senso di colpa suggerendo che “il senso di colpa che è stato spostato [dal sé] viene percepito come responsabilità inconscia nei confronti delle persone che sono diventate rappresentazione della parte aggressiva del sé”[30]. La colpa, inoltre, rinforza i tentativi di denegazione del problema dando vita, così, ad un circolo vizioso in cui colpa e denegazione s’infiammano vicendevolmente. In particolare, l’atteggiamento dispiegato nella situazione di cui stiamo trattando sembra presentarsi a più livelli ed è esemplificato da tre categorie di commenti che appaiono con relativa frequenza.
Vi è, innanzitutto, il commento che potremmo definire patriottico[31], ovvero il concetto che riprende il motto “prima gli italiani” declinato nelle sue varie espressioni. Si trova, poi, reiterato il concetto che, insomma, i migranti la morte se la sono cercata poiché se “non fossero partiti, non sarebbero morti”[32]. Quello che colpisce è il modo in cui queste due linee di opinione possano essere interpretate ed integrate fra di loro fino a costituire la rappresentazione di un atteggiamento quasi troppo semplice da leggere. Da un lato, infatti, il commento patriottico diventa espressione del sé che si cristallizza in sé stesso; come sottolinea Recalcati, “nell’odio razziale [l’esistenza] persegue il sogno folle di raggiungere l’essere senza iati della roccia, l’essere minerale, l’essere come iscritto in una gerarchia valoriale pietrificata, fondata ontologicamente”[33]: in nuce, “prima gli italiani!”. In secondo luogo, i commenti che identificano la responsabilità della morte dei migranti nella loro decisione stessa di affidarsi al viaggio della speranza rappresentano un ulteriore tentativo di respingere, di allontanare il senso di colpa da sé sia psicologicamente, sia metaforicamente, ovvero riportando mentalmente i migranti nei loro paesi d’origine, fuori dall’elemento stesso che rappresenta il medium di contatto fra noi e loro, e cioè il Mar Mediterraneo. Sulla stessa linea interpretativa, vi sono infine i commenti che si sforzano di attribuire la colpa alle ONG, oppure agli scafisti e a coloro che traggono vantaggi economici da questi viaggi[34]: si tratta anche qui di un tentativo di reindirizzare una colpa chiaramente, sebbene non consapevolmente, sentita.
Per quanto senza cognizione, gli autori dei commenti analizzati cercano disperatamente di sfuggire alla colpa[35]: essa, infatti, li assedia – obbligandoli ad abbarbicarsi in sé stessi, asserendo e riasserendo la loro presunta giustezza – li rincorre come una molla mai stanca – che può essere respinta innumerevoli volte, ma la cui persecuzione non cessa – e li colpisce come luce da palcoscenico – che mai dimentica di riportare l’attenzione sui veri attori.
CONCLUSIONE
L’esplorazione di questi fenomeni è stato un viaggio surreale in una nazione che presenta esempi di severe contraddizioni per cui uno stesso membro, o membri dello stesso gruppo possono manifestare reazioni radicalmente diverse, non integrabili o conciliabili fra di loro. Questi comportamenti sono segno di una società difficile e immatura che testimonia la mancata elaborazione di una serie di tematiche. I sadici dal cuore puro rilasciano la distruttività cieca della violenza della pulsione di morte all’esterno[36] continuando, però, a percepirsi immacolati e giusti anche grazie alla riconferma interna al gruppo. È una società pericolosa e manipolabile, però, quella in cui posizioni razziste e contraddizioni radicali vengono accettate come opinioni abbastanza comuni ed accolte da un atteggiamento politico che, se non di aperta autorizzazione ed approvazione, è quantomeno di disinvolto laissez faire.
APPENDICE
Difesa del cattolicesimo e odio per l’Islam
Onnipervasività
Riferimenti religiosi/sovraumani/eroici
Pigrizia e lavoro
Gli immigrati ci rubano le case
L’odio per la conoscenza e il buonsenso
NOTE
*Titolo ispirato, sebbene in contesto completamente diverso, a “Sadique au coeur pur”, J.P. Sartre, Réflexions sur la question juive, Gallimard, Paris, 1946, p. 62.
ahref=”#_ftref21”name=”_ftn21>[21]Si veda Appendice, p. 11.
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Sito della Lega: www.leganord.org.
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