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Società di Psicoanalisi Critica » Pietro Ingrao

Pietro Ingrao

Written by Adriano Voltolin. Posted in Articoli

letteredi Adriano Voltolin

Quando, sul finire degli anni novanta, decidemmo, insieme ad altri colleghi, di dare vita ad un Istituto di lavoro psicoanalitico che avesse presenti le esperienze più nobili della psicoanalisi al tempo in cui questa si riprometteva di incontrare la sofferenza mentale delle persone che erano ed erano state sottoposte, nel loro vivere all’interno della propria società, a violenze e maltrattamenti di ogni tipo  – si pensava all’Istituto psicoanalitico di Berlino alla fine della prima guerra mondiale, alle esperienze della Tavistock alla fine della seconda, ma anche ai consultori psicoanalitici popolari a Buenos Aires negli anni della dittatura, all’esperienza di Enzo Morpurgo a Milano negli anni settanta e ad altre ancora – avremmo voluto invitare all’inaugurazione Pietro Ingrao. Gli telefonai e lui fu cortesissimo: fu vivamente interessato alle nostre “cose impossibili” e mi chiese di mandargli della documentazione. Si dispiacque che l’età ormai avanzata non gli consentisse più troppi viaggi e volle ringraziarmi per aver pensato a lui per inaugurare un lavoro di quel tipo.

Non fu la sola simpatia umana e la stima civile a suggerirci quel passo. Ingrao era, e resta, l’unico uomo politico italiano che faceva nascere l’agire politico dal travaglio di una riflessione sui grandi mutamenti economici, sociali e culturali che trasformano a fondo la società. La politica per Ingrao era l’affaccendarsi degli uomini per affrontare insieme il governo della comunità: gli individui, la loro vita associata ed i riflessi che questa ha sulle relazioni umane più intime come l’amore e gli affetti (magnifica la frase che un operaio comunista, in un film di Ettore Scola, rivolge a un compagno mentre entrambi assistono ad un comizio di Ingrao: “Ma l’amore c’entra con la lotta di classe?”). L’intrecciarsi delle idee, il confronto anche aspro (un termine caro a Ingrao) avrebbe poi dato luogo a delle sintesi che, a loro volta, avrebbero portato a delle leggi e queste, ancora, avrebbero modificato la realtà riproponendo nuovi scenari. Questa doveva essere la politica, ed era un semplice complemento di questo la questione del rapporto tra le masse e le istituzioni, tra i partiti e la rappresentanza, che avrebbe assorbito per molti anni l’energia di Ingrao e del suo centro di studi per la riforma dello Stato. Ricordo che leggevo avidamente il suo Masse e potere; era, se non erro, il 1976 ed era vivo il dibattito su una riforma sanitaria che per la prima volta tentava di portare la salute e la malattia nell’ambito della vita civile sottraendola alle baronie universitarie ed ai centri di potere. L’entusiasmo tra noi giovani medici e psicologi era grande: si creavano i centri di medicina del lavoro insieme al sindacato, i consultori famigliari, i servizi di medicina ambientale. Le Unità Socio Sanitarie Locali furono progressivamente travolte non solo dalla reazione dei poteri costituiti e dei partiti tradizionalmente vicini a questi, ma anche dalla sciatteria, dall’ignoranza e dalla pacchianeria di amministratori locali privi di passione e di spessore. Imparavo allora da Ingrao quello poi avrei capito meglio nel corso della mia analisi: gli individui portano con sé tutti i difetti che una vita amara ha impresso loro, l’ideologia dominante è sempre quella delle classi dominanti, come aveva detto Marx, ma, se la spocchia intellettuale non oscura la pietas, allora è dato vedere quel che Ingrao ci mostrava in quegli anni densi e drammatici: lui vedeva milioni di uomini che si adoperavano per governare ciò che da loro era sempre rimasto estraneo, lontano, ostile. In questo tentativo portavano con sé un grumo (altro termine caro a Ingrao) di passioni, ma anche di ideologie, di saperi contraddittori: non potevano mancare errori, invidie, ingordigie, ma questo era il mondo ed a questo bisognava porsi per fare quanto si poteva.

Fa solamente rattristare, anche in occasione della sua morte, la sottolineatura fatta dell’utopia nel pensiero di Ingrao, il suo essere, in fondo, impolitico: il suo volere la luna. Cosa dovrebbe essere la politica se non il sogno di una cosa? Il sogno, ci hanno spiegato Freud e Bion, è il pensiero magmatico, confuso, contraddittorio che comincia a manifestarsi; la ragione ed il calcolo provvederanno a rendere praticabili quegli elementi di pensiero che senza il sogno non avrebbero mai vita. Cimentarsi con l’esistente consiste nella pratica della sua analisi (come fa la politica, come fa la psicoanalisi) o è l’accordo con chi è troppo forte per essere combattuto? Il politico è colui che cerca di modificare l’esistente o chi vi si adagia sopra per realismo? L’imbarbarimento della nostra vita sociale e culturale capovolge il senso delle cose per mostrare in una luce di senso comune gli aspetti delinquenziali e proiettare in una utopia tanto bella quanto irraggiungibile la preoccupazione per gli altri e per se stessi ed il conseguente operare. Ingrao era un sognatore tanto nobile quanto velleitario, i vari personaggi rotti ad ogni maramalderia e nequizia – l’elenco dei nomi sarebbe troppo lungo – sono dei politici realisti.

Anche, come si è accennato, la vita privata degli individui era attraversata – nella visione di Ingrao – dalle trasformazioni che la società subisce. Ricordo una sua riflessione quando si cominciava a proporre l’apertura domenicale dei negozi, il lavoro anche durante le festività. La perdita, era la sua riflessione, di un confine preciso tra il tempo di lavoro e quello del riposo avrebbe trasformato il significato dell’uno e dell’altro: il lavoro tendenzialmente non sarebbe più stato il mezzo attraverso il quale, con fatica e tenacia, si sarebbe potuto conquistare un momento di riflessione e di comunione con gli altri membri della propria famiglia ed il riposo avrebbe perso il suo carattere di sacralità dato dalla sospensione dello sforzo e della fatica. Le religioni hanno sempre posto un chiaro discrimine tra il lavoro e la festa: questa è dedicata a Dio, al ringraziamento per il pane che è frutto del lavoro e agli affetti che intessono la vita degli uomini. La festa intesa invece come interruzione momentanea del lavoro, come tempo nel quale il denaro guadagnato può essere speso ed il consumo di divertimenti massimizzato, non appartiene ad una visione religiosa, ma nemmeno, e questo era il fulcro del ragionamento di Ingrao, ad una idea del mondo e delle relazioni tra gli uomini che siano governate dalla libertà e dalla consapevolezza. La differenza non si pone tra una società, più antiquata, religiosa, ed una, laica e moderna, dove il peso della fede e delle tradizioni è minore: il discrimine è tra una società degli uomini e quella del capitale nella quale la produzione di merci ha per fine il consumo di merci. Ma, ancora, la scomparsa del confine tra tempo di lavoro e tempo della festa avrebbe avuto un grande peso, era la lucida previsione di Ingrao, sul mondo degli affetti e su quello dell’amore, dei rapporti sessuali. Padri e madri presenti con discontinuità, figli impegnati fin dalla più tenera età in mille attività extrascolastiche, il gioco dei bambini trasformato in attività regolamentata, disciplinata e inserita in un clima di competizione, produce, gli psicoanalisti lo dovrebbero vedere meglio di altri, non un mondo più umano, ma una società malata dove l’asocialità, la depressione e le angosce paranoidi sono sempre più presenti. Ma non ci deve arrendere: indignarsi non basta. Bisogna costruire una relazione condivisa, attiva. Poi la puoi chiamare movimento o partito o in altro modo1

Che la terra gli sia lieve.

  1. La frase di Ingrao è tratta da una conversazione avvenuta nel 2009, quando aveva novantaquattro anni, con aria Luisa Beccia e Alberto Olivetti e pubblicata col titolo Indignarsi non basta dall’editore romano Aliberti nel 2011 []
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Adriano Voltolin

Adriano Voltolin, psicoterapeuta, psicoanalista, è Presidente della Società di Psicoanalisi Critica, Direttore scientifico dell’Istituto di Psicoterapia Psicoanalitica di Sesto San Giovanni (Milano) e Direttore della Rivista “Costruzioni psicoanalitiche”. E’ docente presso il Corso di Teoria Critica della Società presso l’Università di Milano-Bicocca. E’ autore di numerose pubblicazioni sulla teoria e la clinica psicoanalitica.
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