Pasolini: un assassinio non risolto
Il 2 novembre 1975, moriva assassinato Pier Paolo Pasolini. Venne arrestato un giovane di vita, tale Pino Pelosi, che dichiarò di aver massacrato il poeta nel corso di un litigio, seguito al suo rifiuto di determinate prestazioni sessuali richiestegli, poi, in preda al panico, il giovane avrebbe rubato la macchina di Pasolini per fuggire, ma, senza accorgersene, era passato sul corpo del regista, uccidendolo. Nel finimondo giornalistico che ne seguì con sovrabbondanza di spunti a disposizione (il ruolo politico dell’intellettuale, il degrado delle borgate romane, la condizione omosessuale in un paese cattolico come l’Italia, il giovane borgataro linciato dai media, per aver osato toccare un uomo famoso, l’incontro fra il borgataro e l’omosessuale, entrambi emarginati, l’esplodere della violenza irrazionale, le pulsioni di morte della società tardo capitalistica ecc.) che sviarono l’attenzione dalle troppe incongruenze della spiegazione ufficiale che non venne messa in discussione. Nel solco del delitto del “ragazzo di vita” si iscrisse anche il romanzo di Dominique Fernandez “Nella mano dell’angelo”1 tutto costruito sull’ipotesi che il poeta sarebbe andato incontro al suo destino, coerente con la vita da “uomo contro”.
I primi dubbi sulla versione ufficiale erano stati suggeriti dall’appello di un gruppo di amici dello scrittore (Antonello Trombadori, Bernardo Bertolucci, Callisto Cosulich, Alberto Moravia, Renato Guttuso, Sergio Citti, Ninetto Davoli, Laura Betti, Dacia Maraini, i fratelli Taviani, Franco Rosi) che lamentavano la trascuratezza delle indagini. Ma si trattò di critiche assai generiche che non indicavano una pista concreta. Qualcuno adombrò fugacemente l’idea che si potesse trattare di un pestaggio organizzato da fascisti e poi andato oltre il segno, ma non emerse nessun indizio e la cosa cadde nel vuoto.
Solo fra la fine degli ottanta ed i primi anni novanta, iniziò a serpeggiare l’idea che il mandante potesse essere qualcuno che temesse qualche denuncia pubblica del personaggio che, proprio per le sue frequentazioni, aveva potuto sapere qualcosa di compromettente. E, subito dopo, il dubbio si collegò ad un suo celebre articolo scritto poco prima di morire:
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe”.
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna…
Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di “golpe”, sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l’aiuto della Cia… hanno prima creato… una crociata anticomunista, a tamponare il ’68, e in seguito…, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del “referendum”.
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali … a giovani neo-fascisti… e infine criminali comuni…Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale…, o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
….Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire ciò che succede… di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.
Dunque, Pasolini avrebbe saputo qualcosa di preciso sulle stragi e i loro mandanti, forse da qualcuna dalle sue frequentazioni di malavitosi di borgata e dietro quel “Non ho le prove” si nascondeva, in realtà, qualche prova che non gli era possibile mostrare. Quello scritto sarebbe stato interpretato come il pericolo di una denuncia delle “persone serie” che, pertanto, avevano deciso la soppressione dell’incauto intellettuale.
L’ipotesi piacque e generò la leggenda di un Pasolini ucciso perché aveva scoperto chissà cosa. La leggenda è andata poi autoalimentandosi nel tempo sino a diventare una sorta di canone storico in materia. A questa tesi si ispira il film (peraltro bello) di Franco Giordana “Il delitto Pasolini” girato nel 1995 e che si colloca a metà fra la fiction e il film inchiesta. Una tesi molto suggestiva che, però, non sta in piedi perché non appare probabile che un malavitoso di borgata potesse sapere chissà quali retroscena di avvenimenti come piazza Fontana e ancor meno che, sapendoli, li confidasse a Pasolini
Pasolini dice “Io so” ma si tratta di una doppia figura retorica, per dare forza al discorso: “enfasi” (“Io so” in luogo di “Io immagino”) e “anafora” (ripetizione di un gruppo di parole all’inizio di più frasi) che poi precipita in un “ossimoro” (“Io so ma non ho le prove: “cioè “non so con certezza”), seguita da una “gradazione” di rincaro (“Nemmeno gli indizi”). E scioglie tutto nella spiegazione finale (“so perché sono un intellettuale….”). Il brano non è non il verbale di un questurino ma il brano di uno scrittore, e va letto come tale.
Qualcuno potrebbe obiettare che si sia trattato di un espediente letterario, per dissimulare conoscenze molto più precise e positive fondate però, su “prove non ostensibili”. Ma a che scopo dirlo? Mettere sull’avviso le “persone serie ed importanti” in modo che reagissero? Bell’imbecille sarebbe stato! E, sapendo cose tanto delicate, non avrebbe preso la precauzione di parlarne con qualche amico, magari della Direzione del Pci? Improbabilissimo.
Nel 2005 il critico letterario Gianni D’Elia pubblicava un libro sull’”Eresia di Pasolini” in cui accennava ad una riconsiderazione del caso che svilupperà in un ulteriore testo. D’Elia riprendeva l’articolo “Io so”, ma con una importante variante interpretativa. Pasolini, poco prima di morire, stava scrivendo un romanzo-zibaldone che uscirà –incompleto e postumo- con il titolo “Petrolio” (1992). Il tema del petrolio e delle guerre di potere che vi si combattettero intorno ne è il filo conduttore e uno dei personaggi chiave è ispirato ad Eugenio Cefis –già presidente dell’Eni ed all’epoca potentissimo presidente dell’Edison -, sul quale Pasolini si stava documentando. Fra l’altro materiale trovato nel suo archivio, c’è anche un libro che girò pochissimo “Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente”, pubblicato con uno pseudonimo nell’aprile del 1972. Il libro era firmato con lo pseudonimo Giorgio Steimetz. Da questo libro, Pasolini avrebbe tratto notizie molto compromettenti per Cefis (in particolare relativamente al caso Mattei) che avrebbe avuto intenzione di trasfondere nel suo romanzo. Nel frattempo, il brano “Io so”, avrebbe fatto allusione a Cefis che, quindi, avrebbe preso le necessarie misure cautelari. Resta da capire che senso avesse una anticipazione del genere.
Subito dopo, Pelosi rilasciava un’intervista per dirsi estraneo alla morte dello scrittore e sostenendo, per la prima volta, che ad Ostia operò un gruppo probabilmente di siciliani, a giudicare dalle frasi dialettali gridate durante il pestaggio. La cosa ebbe scarso seguito giudiziario, ma stimolò un articolo di Carlo Lucarelli e Gianni Borgna che prospettava una diversa ricostruzione dell’omicidio: Pasolini sarebbe stato attirato in un agguato con la promessa di restituirgli le pizze del film che stava girando (“Sodoma-Salò”) e che gli avevano rubato. Pelosi avrebbe fatto da ulteriore esca, attirandolo in un posto dove sarebbe stato rapito, quindi portato sul lido di Ostia e massacrato.
Movente sarebbe stato lo stesso individuato da D’Elia: le curiosità di Pasolini per Cefis. Anche se con qualche punto da chiarire (perché Pelosi se ne va a bordo dell’auto di un uomo appena assassinato da altri?) si tratta di una ricostruzione più plausibile e logica di quella ufficiale quanto alla dinamica dell’agguato, ma quello che non convince è il movente. Il libro di Steimetz (che conosco molto bene) è una lettura interessante e ricca di spunti, ma, ad esser sinceri, non c’è nulla che non potesse esser digerito dai forti succhi gastrici del presidente Cefis. Giorgio Pisanò era stato molto più pesante, anche su altri episodi come la morte di Alfredo Di Dio (comandante partigiano di cui Cefis era il vice) e che il senatore missino insinuava essere stato consegnato ai tedeschi dallo stesso Cefis. Si può pensare che Cefis avesse il timore della cassa di risonanza di un libro di Pasolini? Il romanzo era molto lontano dalla pubblicazione e lo stesso autore disse che “Ho iniziato un libro che mi impegnerà per anni, forse per il resto della mia vita”. Dunque, non era un pericolo imminente.
Pertanto una ipotesi possibile, ma assai improbabile. Da considerare al pari di molte altre E se la verità fosse molto più semplice? Personalmente amo poco Pasolini come regista ed ancor meno come scrittore (salvo gli “Scritti corsari” e le “Lettere luterane”) ma è innegabile che fosse un intellettuale assai famoso . Accade spesso che la statura del personaggio induca a cercare “verità” che gli stiano alla pari, per cui una fine “eroica” ben si attaglia ad una personalità del genere. In fondo è l’operazione che tentò Dominique Fernandez accettando la teoria dell’omicidio fatto da Pelosi, però tessendoci intorno una complessa trama a sfondo psicologico che, a suo modo, rende “scandalosa “ ed “eroica” quella morte.
Ma immaginiamo un’altra ipotesi. Erano anni in cui si formava la banda della Magliana ed esplodeva la stampa porno (comprese alcune dedicate al genere gay o a varie pratiche di “sessualità non ortodossa”). I sequestri che erano piovuti sono a pochi mesi prima del 1971, di colpo cessarono, come di incanto. Poi si seppe di strani intrecci fra mondo del porno, malavita e servizi. Nel 1970 venne arrestato a Palermo il commercialista Nino Buttafuoco (ritenuto vicino alla ”famiglia” newyorkese dei Bonanno), nel quadro dell’inchiesta sul rapimento De Mauro. Poco dopo comparve una rivista porno assai vicina agli ambienti della famiglia del commercialista: si preannunciava una inchiesta in 5 puntate sul caso Mattei che non uscirà mai, ma in compenso uscì, prima dal carcere poi dall’inchiesta, l’anziano commercialista palermitano.
Nello stesso periodo il Sid fotografò unì giovane (“ragazzo di vita” anche esso) completamente nudo sulla terrazza dell’attico dell’on Colombo (di cui erano note le propensioni sessuali): è palese che il giovane fosse d’accordo con i “fotografi” e che lo scopo era quello di fare pressioni sull’uomo di governo. A rivelarlo fu, nel 1997, il generale Maletti durante la sua audizione davanti alla Commissione Stragi.
A rapporti fra prostituzione, porno, servizi e malavita accennò spesso l’agenzia “Op” di Mino Pecorelli. Dunque, non è difficile immaginare il giro di ricatti che ne era scaturito.
Immaginiamo ora che Pasolini avesse appreso, dai “ragazzi di vita” che frequentava, che la malavita organizzata avesse iniziato a controllarli, ed usarli e che su questo avesse intenzione di scrivere un’inchiesta giornalistica o semplicemente se ne fosse incuriosito magari solo per interesse verso un qualche ragazzo in particolare. E’ possibile che neanche lui si fosse reso conto di quale nido di vipere era andato a pestare e di quanto lontano potessero portare le sue eventuali ricerche. O anche è possibile che ambienti malavitosi (quei siciliani cui accenna Pelosi…) si fossero allarmati oltre misura; di qui la decisione di eliminarlo. In fondo, se dobbiamo immaginare che Pasolini avesse saputo qualcosa di scottante dai ragazzi che frequentava, è molto più realistico pensare che si trattasse di argomenti del genere, piuttosto che di trame lontane da essi come la strage milanese o i colpi di stato.
E’ una ipotesi meno importante di quella di Cefis o di piazza Fontana, ma credo assai più realistica. Ma, in morte di una persona celebre si può credere ad una pista così poco “eroica”?
Lo scritto di Aldo Giannuli, che qui si propone con il suo consenso, è stato pubblicato sul suo sito il 2 novembre 2015
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- IN MEMORIA DI PIERFRANCESCO GALLI
- Bompiani 1983 [↩]