La politica tra verità e certezza
Se ci soffermassimo un po’ su un opera come quella di Giovambattista Vico, se la smettessimo di far dire fesserie a Stuat-Milll o a Marx, forse si potrebbe cominciare a riflettere, e basterebbe poco, intorno alla sauvagerie su cui è costruito l’attuale linguaggio/discorso politico. Faccio un esempio: la lotta di classe e di casta, l’olocausto, il predominio del denaro, il manifesto abuso di potere e tutte le cose di questo genere si susseguono sul versante della certezza e non su quello della verità. Sono certezze, sono cose che si possono sapere e su questo terreno si possono scorgere i rapporti di forza, anzi si possono smascherare e cogliere in flagrante come pure brutalità. Invece per il delirio di verità, per la mobilitazione di tante Storie di Giganti che facciano da eventuale copertura o rendano divino il linguaggio dell’uomo politico (ciascuno in sé divino tiranno), la questione è un’altra; e se non temessi di fare una caricatura del pensiero di Vico, in fondo direi che si tratta della questione omerica, questione poetica per eccellenza, quella che ci tocca tutti nell’intimo, la questione del nostro umile commercio con gli Dei.
Oggi la Filosofia del Diritto ufficiale risulta la scienza con la migliore tenuta di strada, sollecita nel togliere di mezzo
anche le cose essenziali (leggi costituzionali) per impedire che trapeli il possibile fallimento della Ragione in seno a quel sistema di norme che passa sotto il nome di organizzazione statale. In altri termini, si lavora senza sosta a censurare il fenomeno della ripetizione, della coazione, con cui l’apparato del potere si regge e sempre si rimoderna. In alternativa o simultaneamente la riflessione, sedicente politica, sociale, filosofica, storica e via dicendo intorno alla legittimità si offre con tutte le etichette possibili immaginabili, di destra, di sinistra, di centro o persino assolutamente neutrale e apolitica. Tutto questo spiegamento di buone ragioni mira a costringere a pensare come si deve. Ci sono dunque le condizioni per incensare san Tommaso d’Aquino o Grozio o Marx o Engels, la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, Mao Tze-tung, Stuart Mill, o qualsiasi altro testo feticcio, ma sono tutte cose che appaiono senza spessore perché è importante è solo l’incensare e il far si che gli incensatori adempiano la loro funzione squisitamente sacerdotale. La si chiami pure una riflessione conservatrice e/o rivoluzionaria sul Diritto: non avrei nulla in contrario se in quel bigottismo non vedessi un piccolo inconveniente, e cioè che il pubblico dei lettori viene sempre scambiato per una massa di poveri imbecilli. E alla fine accadrà quel che sempre accade alle prediche di questo genere: saranno denunciate come prediche, come ulteriore tentativo per far rigare diritto. Assisto ad una rinascita del dogmatismo soprattutto nella produzione politica sul Diritto. In questa situazione a che vale parlare di psicoanalisi? Quel che può dire uno psicoanalista, sia pur parzialmente sedotto/edotto dal discorso della politica, diventa interessante solo in quanto ausilio circa le prediche che “fanno rigare diritto”.
La Società di Psicoanalisi critica promuove lo studio, la ricerca e la formazione nel campo della psicoanalisi di Freud e di coloro che dopo di lui ne hanno continuato l’opera.
Vuole valorizzare gli aspetti teorici e clinici che fanno della psicoanalisi una scienza che indaga le forze psichiche operanti nell’uomo, in quanto singolo individuo e negli uomini, nelle loro aggregazioni sociali.
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