La magistrale lezione di Jacques Le Goff
La morte di Le Goff è un’occasione per riflettere, anche da parte degli psicoanalisti, sulla relazione che intercorre tra la scienza e la sua capacità di far progredire la conoscenza complessiva degli individui e della loro vita associata. Non sempre questo nesso appare chiaro allo scienziato che si occupa magari di settori molto specialistici, ma risulta poi evidente dalla lettura critica della sua opera: Einstein, ad esempio, non colse appieno la portata delle sue scoperte sul modo di concepire la vita stessa degli uomini e la sua storicità. Le Goff credo che ne fosse invece consapevole; i suoi studi sul medioevo spaziano dalla storia di quest’epoca tout court, al ruolo specifico dell’immaginario, del corpo, del concetto di Dio. Del pari, la storia della città medioevale si accompagna a quella dei mestieri, del significato del denaro e dell’uso del legno, per non citare che a frammenti l’immenso ambito nel quale – sempre rimanendo all’interno del medioevo – spaziava la sua riflessione.
Una conoscenza più approfondita del lavoro dello storico francese ebbi modo di averla quando, oltre trentacinque anni fa, il compianto Franco Della Peruta mi suggerì la scuola di Le Goff e, in Italia, i lavori di Scipione Guarracino, per riflettere su ciò che poteva essere un qualche legame tra la disciplina della storia e la psicoanalisi. Mai consiglio fu più azzeccato sia per lo specifico scientifico che per la conoscenza di Guarracino, autore di studi e di manuali di storia che destano ammirazione profonda.
In che cosa Le Goff e la sua scuola rappresentano per la psicoanalisi uno strumento di conoscenza e di lavoro di grande importanza?
A mio parere sono almeno tre i piani attraverso i quali la psicoanalisi e la storia possono sviluppare discorsi che appaiono di reciproco giovamento per il progredire della conoscenza. In primo luogo per Le Goff, come per gli psicoanalisti, il materiale su cui si lavora non è quello evenemenziale: le date, le paci e le battaglie in storia; i fatti e le opinioni in psicoanalisi. Sono piuttosto le cose “senza importanza” che nell’una e nell’altra disciplina costituiscono il materiale con il quale si mette a punto un’interpretazione dei fatti. Freud era molto consapevole – come testimonia Jones – del fatto di occuparsi di “cose che tutte le bambinaie sanno”: sono i materiali, come il legno; gli usi, come il ritmo del suono delle campane; i problemi etico religiosi, come il prestito di denaro ad interesse, a venire usati da Le Goff; i sogni, i lapsus, le associazioni “prive di senso” sono gli attrezzi di Freud. Le Goff, come Freud è, come aveva detto Lacan, un bricoleur, un flaneur per
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dirla con Walter Benjamin.
Il secondo tema che avvicina la scuola di Le Goff alla psicoanalisi è quello del ruolo dell’immaginario. Sia che si tratti del corpo umano che – studio tra i più celebri dello storico francese – del purgatorio, Le Goff ci ha mostrato come l’immaginario, la creazione interna, siano in grado non solo di articolare delle categorie di pensiero, ma addirittura di farle divenire assi portanti dell’ideologia sociale, sia questa più propriamente degli intellettuali, oppure del popolo. La storia – e così pure, un lavoro psicoanalitico – non si possono fare astraendo dal ruolo dell’immaginario e dei sentimenti. Questi, anzi, possono costituire, come è appunto il caso dell’invenzione del purgatorio, o della definizione della ripetizione, la trama della vita di individui, gruppi e società.
E’ infine l’idea della storicità, opposta alla naturalità nella quale la società occidentale, soprattutto capitalistica, ha costretto non solo il corpo, l’orecchio, l’occhio, ma anche la sete di denaro, la libertà individuale, ad avvicinare Le Goff non solo a Freud, ma anche a Marx. Storico per Le Goff è il corpo, come storica è la bellezza femminile con i suoi canoni; storico per Marx è il concetto di lavoro semplice, come quello di occhio che vede certe cose e non altre o di orecchio che sente come gradevole ciò che è accettato socialmente e viceversa. Storico è infine per Freud il concetto di malattia mentale che non deve essere definito su un asse graduato che compendia la normalità da un estremo e la psicosi dall’altro, ma sulla capacità (capacità negativa dirà più avanti Bion) di tollerare ciò che è socialmente condiviso venendo ad un compromesso, parola chiave nell’ultimo Freud, tra le istanze delle pulsioni narcisistiche e le esigenze della convivenza tra gli uomini.
Le lezione di Le Goff è prima di tutto una grande lezione civile: la prova di questo è che dopo di lui non pensiamo più al medioevo come ad un’epoca cupa e di imbarbarimento rispetto alla quale il moderno si presenta come rinascimento, illuminismo, scientificità, ma utilizziamo i secoli che vanno dall’anno Mille al Quattrocento come un periodo che detta alla nostra epoca non solo alcune convinzioni dure a venir meno, ma anche modelli di comportamento – penso qui al rifiuto della propria società da
parte di San Francesco, posto in rilievo da Le Goff come scelta di una socialità diversa centrata su Cristo povero tra i
poveri – che la nostra società del Ventunesimo secolo bolla come velleitari ed irragionevoli.
La Società di Psicoanalisi critica promuove lo studio, la ricerca e la formazione nel campo della psicoanalisi di Freud e di coloro che dopo di lui ne hanno continuato l’opera.
Vuole valorizzare gli aspetti teorici e clinici che fanno della psicoanalisi una scienza che indaga le forze psichiche operanti nell’uomo, in quanto singolo individuo e negli uomini, nelle loro aggregazioni sociali.
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