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La critica americana: Arthur Miller

letteredi Gianni Trimarchi

L’etica protestante, nel suo autointendimento, si propone una trasformazione della realtà, attuata nella storia. Nell’opera di Miller mi pare si veda la deductio ad absurdum di questo sogno antico, che non si presenta più come una realizzazione obiettiva, ma come qualcosa di irraggiungibile, se non attraverso la menzogna, che conferma i processi

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nella loro patologia, nascondendo dietro ai sogni la verità inconfessabile del fallimento, spesso diffuso in certi contesti1, nei quali il “teatro della provvidenza” diventa il teatro di un’ipocrisia senza speranze.

I personaggi di Miller, come direbbe Freud, “soffrono da nevrotici” e non sanno “soffrire come adulti”, quanto meno per l’incapacità di uscire dal loro angoscioso isolamento e di affrontare la realtà. Ovviamente, questo modo di essere non è immune da legami con la “base materiale”, anche se il “commesso viaggiatore” propone anzitutto retorica e sogni, che solo in seconda istanza si materializzano in merci. Non a caso antropologi come A. Appadurai intendono la nostra società come fondata sul consumo e non più sulla produzione, che egli ritiene ormai congelata in forme stereotipate sulle quali, a suo parere, non resterebbe molto da dire2. Anche se il baricentro si sposta sul consumo, le forme economiche continuano tuttavia ad essere Daseinen Formen, per cui le illusioni perdute dei personaggi che appaiono nel nostro testo trovano pur sempre una precisa contestualizzazione.

Oltre al lavoro di Miller, si trovano temi analoghi anche in altri testi americani, come An american Tragedy di T. Dreyser((Theodor Dreiser Una tragedia americana, trad it Milano Accademia 1973 pp 93-116)), alla quale Ejzenstejn dedicò un breve saggio 3 durante il suo soggiorno in America, avvenuto intorno al 1930. La sceneggiatura del romanzo da lui proposta, in accordo con l’autore, non venne mai realizzata; questo per la sua precisa volontà di non presentare il caso come il semplice risultato di una libera scelta del protagonista. Nel testo si racconta dell’uccisione di una ragazza incinta, messa in atto dal fidanzato, in nome del perbenismo e di un miraggio di carriera. Secondo Ejzenstejn era qui chiamato in causa il sistema sociale, che occultava nelle sue pieghe la nevrosi di un soggetto apparentemente normale.((Per sottolineare l’attualità del discorso di Miller e di Ejzenstejn, può valer la pena di ricordare la dimensione italiota del fenomeno, acutamente descritta nel 2009 in Videocracy, film diretto da Erik Gandini)) Questo modo di argomentare risultò molto sgradito ai produttori della Paramount, che gli tolsero l’incarico, intendendo il suo lavoro come “una sfida mostruosa alla società americana”.((S. M. Ejzenstejn cit, pag 87)) Di tutto il lavoro messo in atto, ci rimangono solo alcune pagine, in cui il grande regista argomenta in forma convincente, a livello quasi etnografico((Sul legame fra antropologia e letteratura cfr U. Fabietti Antropologia culturale, Bari Laterza 2004 p 90)), la connessione delle scelte del protagonista con i “riti” della società in cui vive, in una dimensione in cui “la patologia individuale è uno specchio della struttura sociale”((A. Voltolin Il rifugio e la prigione Milano Mimesis 2014, pp 10 e 36)), così per Dreiser, come per Miller.

Volendo parlare di una prospettiva diversa, legata però ad analoghi problemi, colgo l’occasione per citare Quando la moglie è in vacanza (The Seven Years Itch) di Billy Wilder, uscito, per una felice combinazione, nel 1955, insieme a Eros e civiltà((H. Marcuse Eros e civiltà, trad it Torino, Einaudi 2001)). Qui sarei portato a vedere non solo una critica della società americana (che in effetti compare), ma anche l’ipotizzazione, per così dire “trascendentale” del caso di un rapporto felicemente erotico, messo in atto fra adulti maturi, sia pure nel solito alienante contesto. Le gambe di Marylin, che fecero immediatamente il giro del mondo, rappresentano un “corpo della gioia”, senza conformismi e ipocrisie. La ragazza in questione, contrariamente alle donne che compaiono in Miller, non è né puttana né massaia e nemmeno troppo idealizzata, ma è l’oggetto di un sano investimento.

Questo film si presenta come un caso isolato nell’ideologia di quegli anni, ma costituisce un’interessante apertura verso l’utopia della liberazione.

 

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  1. Mi viene in mente Totò in Siamo uomini o caporali? quando definiva la sua baracca come uno “chalet svizzero”, salvo che lì c’era una sottile e allusiva ironia napoletana, non una malafede perbenista e senza speranza. []
  2. A Appadurai Consumo, durata e storia, in Modernità in polvere, trad it Roma, Meltemi 2001, pp 93-116 []
  3. S. M. Ejzenstejn Una sequenza tolta da An American Tragedy, in Forma e tecnica del film, Torino Einaudi 1964, a cura di Paolo Gobetti, pp 525-528;

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    v anche nello stesso testo. Una lezione di sceneggiatura, pp 87-91, []