Il sacro al tempo della crisi: riflessioni rapsodiche su “Un giorno devi andare” di Giorgio Diritti.
Premessa
L’ultimo film di Giorgio Diritti va iscritto nel novero delle opere mistiche del nostro tempo. Mi rendo conto che la mia è un’affermazione assai perentoria, anche perché il termine si presta a molti equivoci e fraintendimenti.
Meister Eckart era un mistico e un uomo di chiesa e dunque un religioso che aveva a che fare con la religione nei suoi diversi e molteplici aspetti: monsignor Marcinkus condivide l’aspetto religioso con Meister Eckart, ma credo che anche molti cattolici storcerebbero il naso se lo definissi anche un mistico.
Mi rifaccio allora all’etimologia della parola, di origine greca: essa comprende in sé i concetti di mistero, del chiudere e del tacere, che sfociano nella contemplazione. Levi Bruhl parlava, a questo proposito, di partecipazione mistica per quanto attiene le religioni primitive, cioè a quel sentimento che riscontra il sacro ovunque, in qualsiasi fenomeno naturale di una certa rilevanza. Naturalmente, quanto più ci si distacca da quel sentimento effusivo e di fusione con la natura organica, con le religioni cosiddette positive e la cultura laica e materialista, tanto più l’esperienza mistica deve essere anche ricercata, in qualche modo perseguita, con la meditazione, il silenzio, l’ascolto di sé, ricorrendo anche a tecniche appropriate.
Essa, tuttavia, non può essere del tutto sovrapposta a quella religiosa neppure oggi; in questo modo mi avvicino al film di Giorgio Diritti, considerandolo da quello che mi sembra il punto di vista scelto dal regista, il suo filtro per guardare al mondo, al sociale, presente in quest’opera come nelle precedenti, fin dall’indimenticabile Il vento fa il suo giro, per arrivare a L’uomo che verrà ed ora a quest’ultimo.
Quattro donne e due comunità.
A una prima approssimazione, il film ha una protagonista principale, Augusta, una giovane donna italiana; è la prima che lo spettatore vede sullo schermo ed è l’ultima a essere inquadrata.
Tuttavia non ha la forza di un’eroina che da sola occupa la scena. Inoltre, non va dimenticato che, pur essendo la prima figura umana che, chi assiste alla pellicola vede, di notte, mentre piange sul ponte del battello, la sua inquadratura è preceduta da una lunga sequenza in cui la luna è schermata dalle nubi. Poi l´immagine diviene via via un quadro dai contorni prima imprecisi, poi sempre più chiari: è un feto nel ventre di una madre. Da quella inquadratura si passa lentamente al volto di Augusta: dunque, è lei che, scorgendo la luna, sogna un figlio.
Augusta è una ragazza molto normale, persino un po’ antipatica, che si allontana da una storia personale molto dolorosa e non ha molta importanza sapere esattamente di che cosa di tratta (tranne che per un particolare di cui ci occuperemo a suo tempo), perché potrebbe essere qualsiasi cosa. Crisi esistenziale e fuga sono, dagli anni ’60 in poi, un clichè abbastanza praticato dalla gioventù occidentale. Se mai la curiosità sta nella scelta del luogo dove fuggire: non più l’oriente e l’India, in particolare, ma il profondo ovest. I silenzi di Augusta, per una lunga parte del film, non sono di meditazione, ma di fastidio, sgomento e fatica a entrare in quel mondo. Per dirla con Chatwin, sembra sempre sul punto di domandarsi ma che ci faccio qui?
La seconda donna a entrare in scena è Franca, una suora laica, cattolica, che percorre il fiume con un battello che serve a tante cose: presidio medico, solidarietà con le comunità indigene più disperse, cui porta cibo e santini, nonché un’evangelizzazione piuttosto ingenua e alla buona, che i bambini sembrano accogliere in modo non troppo convinto.
A queste due prime protagoniste fanno da contrappunto altre due donne e un secondo gruppo, sempre femminile: Anna, madre di Augusta e Antonia la nonna della ragazza.
Esse vivono in una cittadina del Trentino e si dedicano a opere di solidarietà: fanno parte di un gruppo di suore laiche, qualcosa di più e diverso dalle famose dame si san Vincenzo, prima di tutto per la differente estrazione sociale. Il nesso fra le due comunità è molto chiaro: alla staticità della comunità trentina, sostanzialmente dedita alla preghiera e alla raccolta di vestiti, il disegno delle icone e poco altro, si contrappone il dinamismo della comunità cattolica brasiliana, impegnata nella costruzione di pollai e centri residenziali che, al di là di ogni possibile sforzo di fantasia, assomigliano sempre a dei villaggi turistici; naturalmente, il capitale investito viene dall’Italia o da altre donazioni provenienti dal ricco mondo. Immediato il
riferimento con il primo film di Diritti, Il vento fa il suo giro: il solerte amministratore locale progressista della comunità occitana, che fa da guida ai giornalisti per promuovere il suo programma di rilancio della valle, ricorda assai il missionario barbuto di quest´ultimo film: un nonno dei fiori dall’aria sessantottina, che mostra carte, mappe e grafici, al povero indio che gli sta davanti.
Il motore del film sta nel rapporto dialettico fra questi due universi, ma è sempre più Augusta a divenire una sorta di catalizzatore telepatico, è lei a mettere in moto il montaggio del film, che passa con sequenze rapidissime da una comunità all’altra, non in base a qualcosa di oggettivo, ma rispetto alle sensazioni, le intuizioni (più spesso quelle di Augusta, ma talvolta provenienti anche dal lontano Trentino innevato). In Brasile domina la difficoltà di comprensione fra indigeni che resistono a ogni forma di cambiamento e una tipologia di missionario che pretende sempre di proporre le migliori soluzioni,
convinto che non ne esistano altre. Anche la versione più positiva di questo atteggiamento, rappresentato da Franca, la suora laica anziana, si scontra con una realtà che lei in definitiva comprende fino a un certo punto, e rispetto alla quale non si pone grandi domande: fa bene il suo lavoro e si accontenta di ciò. Augusta reagisce con insofferenza giovanile, è polemica – a volte gratuitamente – finché non si arriva a una svolta del film, che ne chiude la prima parte: la ragazza decide di lasciare Franca, vuole proseguire da sola e sceglie di vivere nella favela di Manaus, dove può contare sull’appoggio di una struttura comunitaria anch’essa religiosa. Dalla natura immensa e abbacinante lungo il fiume, all’inferno urbano. Vive presso una famiglia, i cui figli provengono da padri diversi e conosce così Arizete, Janina e Paulo Joao, l’unico con cui pare esservi un dialogo fatto di delicata seduzione. Nella favela di Manaus, esplodono tutte le contraddizioni della comunità brasiliana, nella quale Augusta comincia a muoversi con autorevolezza e buon senso. Cerca di aiutare in modo discreto e rispettoso, diverso dai modi delle religiose, tranne in un caso che sara´ pero´ un secondo elemento che la spingera´ a cambiare di nuovo. Quando il governo propone la distruzione della favela e il trasferimento dell´ íntera comunità un nuovo quartiere di brutte villette con una sola strada nel mezzo, lei difende l´idea di
rimanere nella favela e quando gli uomini lavorano per il nuovo progetto li affronta bruscamente.
La risposta piccata di uno di essi la riporta alla realtà, seppure dopo un momento di rabbia. Augusta è pur sempre una gringa, una occidentale, non e´ la sua comunità quella. Per un istante, anche lei cede al vezzo tutto nostro di sapere sempre quali sono le soluzioni migliori, ma è solo un momento. Quando la comunità incontra la tragedia del bambino venduto, ma ritenuto morto annegato, Augusta tira le sue conclusioni: non il ritorno in Italia e neppure la vita nella favela, ma il proseguimento del viaggio in una solitudine estrema.
La natura ritorna prepotentemente a chiamarla a sé e Augusta vive tutta una serie di esperienze al limite della propria tenuta fisica, ma finalmente entra in contatto con essa. Ce ne accorgiamo perche´ Diritti si avvale di una finezza della colonna sonora, per molti altri aspetti la sola parte debole del film: Augusta ode per la prima volta in modo vistoso (e anche noi spettatori lo condividiamo con lei), i rumori e i suoni della selva, un linguaggio sconosciuto che fino a quel momento era rimasto ai margini della sua sensibilita´ uditiva: solo a frammenti rapidissimi la natura era entrata nella sua percezione. Augusta sente per la prima volta il luogo, la sua forza, il suo genius, i versi dei piccoli animali con una intensita´ che prima le era sconosciuta. La sua casa e´ un´amaca sotto un grande intreccio di alberi su cui e´ appesa anche una icona con il volto di Cristo, che lei guarda interrogativamente e intensamente. Il ricordo della comunità trentina riporta la sequenza dall´altra parte del mondo, dove Jainina si è recata per diventare la badante della nonna di Augusta. Il film torna per un´ ultima volta dall´altra parte del mondo, proprio mentre la donna anziana che si trova nella stessa stanza d´ospedale di Antonia, la nonna di Augusta, muore. Con la preghiera intensissima e anche molto pagana di Jainina il film si congeda dalla comunita´ trentina.
Con questa immersione piena nella natura inizia e si conclude, invece, la brevissima terza parte del film. Augusta vive ormai di quello che trova, come raccoglitrice, oppure di quello che le lascia il pescatore indigeno, senza avere bisogno di alcuna parola, dal momento in cui comprende la sua scelta. Un giorno arriva alla sua amaca un bambino con cui lei gioca tutto il pomeriggio, felice di ritrovare un contatto umano, ma anche di ritrovare in qualche modo il figlio che, ora sappiamo, lei ha perduto. L´incontro, tuttavia, non e´ il prodromo a una soluzione di buoni sentimenti: il bambino ritorna a casa sua con i genitori a fine giornata, Augusta ha fatto quello che doveva fare, ma quel figlio non e´ suo e quando l´ultima scena del film inquadra la punta della sua barca che fende lentamente le alghe, capiamo che Augusta non tornerà ma che ha pure imparato a lasciare.
La scena di gioco con il bambino e la sua conclusione mi ha ricordato una storia sufi, una delle più belle e straordinarie.
In essa si narra di un maestro che a conclusione del corso racconta ai suoi discepoli un´ultima storia, prima di congedarli: il contenuto simbolico del racconto e´ la sapienza.
Un sufi si attarda nel deserto e non si accorge che la notte sta per arrivare. Quando se ne avverte si allarma, ma poi scorge in lontananza una luce che sembra indicare un accampamento. Accelera e infatti scorge tre uomini che stanno discutendo animatamente e piangendo: tre fratelli per l´esattezza. Non appena lo vedono e riconoscono in lui un sufi, lo accolgono con reverenza e lui chiede ovviamente loro cosa sia la causa di tale angustia. Il maggiore spiega che la causa e´ il loro padre che li ha lasciati orfani ma ha aggiunto a questo dolore il peso di una eredita´ che non possono dividere fra loro: essa e´ costituita da nove cammelli che l´uomo mostra al maestro. Questi chiede il motivo di cio´ e l´uomo spiega che il padre ha lasciato scritto di dividerli in questo modo: due terzi al maggiore dei figli la meta´ di quelli che rimangono al secondogenito e la meta´ successiva al terzo: una divisione impossibile. Il sufi, allora, si chiude in raccoglimento e traccia dei segni sulla sabbia, poi regala loro il proprio cammello. Con dieci cammelli il calcolo viene perfettamente ma rimane come resto un cammello con il quale il sufi si allontana dall´accampamento mentre i fratelli si abbracciano felici.
In sostanza, il maestro e´ chi impara ad aiutare e a lasciare, cioe´ a non trattenere per se´ il potere che l´aiutare mette automaticamente nelle mani di chi aiuta: e´ lo stesso gesto compiuto da Augusta a conclusione del suo percorso. Tale gesto non lo puo´ compiere la politica, ma nemmeno la religione secolare: e´ la gratuita´ del mistico.
Maschile seriale.
Qualche parola va spesa sui protagonisti maschili del film, che impressionano tutti per la loro disperante miseria morale e inettitudine (tranne forse Paulo Joao) e questo è uno dei motivi che corrono sotto traccia rispetto alla trama di superficie e che si rivela alla fine un contro canto importantissimo e proprio perché Diritti non vuole fare un film sulla differenza di genere. Per questo l’apparire di queste maschere risulta alla fine potente e miserando al tempo stesso. Del missionario nonno dei fiori ho già scritto, ma anche l’indigeno con la sua staticità, refrattaria a qualsiasi cambiamento, per non parlare di quelli che considerano impure le due donne. Le espressioni più tragicomiche di questo maschile seriale sono il telepredicatore e il sacerdote (laico o meno non si capisce), che con una radio improvvisata si rivolge dalla poltrona, dalla quale non si distacca quasi mai, all’intera comunità della favela di Manaus. La sua casa con balcone è prospiciente un fatiscente campetto nel quale avvengono tutte le cerimonie pubbliche e gli svaghi di massa della comunità: il ballo, il gioco dei bambini, le partite di calcio.
Per fare la radiocronaca degli incontri, che da quella posizione vede solo in parte, piuttosto
che usare un altro stratagemma– per esempio allungare il filo del microfono – scosta la tendina e segue la partita stando sempre seduto. Questa specie di Oblomov della favela non puo´ convincere nessuno e infatti i suoi proclami e le sue prediche vengono seguite nella generale indifferenza. Anche quando difende la comunità e il suo diritto a rimanere nella favela, temendo che il trasferimento ne provochi la disgregazione, non e´ credibile perché sembra difendere più che altro la sua postazione sul divano di casa. Lo vediamo finalmente in piedi e addirittura a camminare solo una volta, quando segue nelle ultime fila il funerale del bimbo venduto, ma che lui crede come tutti (ma non dovrebbe forse dubitarne visto che sa come vanno le cose?) annegato.
Le case dove si traferiranno sono certamente brutte, il luogo anonimo, ma una comunità non e´ fatta di persone? Forse c´era anche una qualche ragione nel difendere quel luogo, ma una volta persa la partita non si puo´ ricreare la comunita´ seppure in situazioni diverse? Invece reitera le sue stanche critiche al governo, senza fare niente altro. Infatti, anche le donne, che pure hanno qualche dubbio sul trasferimento, non lo ascoltano neppure loro! Infondo, la sua critica non porta ad alcuno sbocco e bisognera´ pur considerare che i governi Lula e Roussef hanno tolto dalla poverta´ in due mandati elettorali 20 milioni di brasiliani: vorrei davvero vederlo un leader europeo che restituisca lavoro e dignita´ ai milioni di giovani disoccupati, donne e uomini del continente!
Il personaggio di questo sacerdote me ne ha ricordato un altro, di un altro film, molto diverso: America oggi di Altman, tratto da alcuni racconti di Carver. In un episodio del film, un poliziotto, che fra l´altro e´ stato protagonista di uno stupro, si trova nel giardino di casa sua durante un terremoto. Siamo in California e tutti vivono sotto l´incubo del cosiddetto Big One che dovrebbe inghiottirsi la faglia di sant´Andrea. Mentre tutti fuggono dalla case pericolanti, lui prende in mano il megafono e dal mezzo del suo giardino, dove peraltro e´ al sicuro, con voce tonante e marziale chiama tutti alla calma, al muoversi ordinato, recitando praticamente un pezzo del regolamento di polizia in caso di terremoti. Come a dire: ho seguito la prassi, ho fatto il mio dovere. Grottesco e tragico il panorama maschile del film di Diritti si conclude con il padre che vende il figlio al mercante e poi lo fa credere annegato e con il marito di Augusta, che l´aveva abbandonata dopo che lei aveva perso il figlio.
Il sacro nel tempo del turbo capitalismo.
Alcune riflessioni finali: e´ possibile l´esperienza del mistico come valore nella societa´ del turbo capitalismo? Serve a qualcosa? La risposta e´ almeno apparentemente che no, non serve: come potrebbe servire in una societa´ che pretende di rendere profittevoli proprio quegli elementi della natura organica che sembravano fino a poco tempo fa inappetibili dal mercato? Dopo la terra, sfruttata oltre misura e il fuoco, anche l´aria
e l´acqua, i rapporti sociali e forse in prospettiva anche la morte diventera´ oggetto di business e spettacolo di massa: del resto, la recente maratona di masturbazione di massa che si e´ tenuta in Danimarca, oggetto di dibattito nella rete, di siti che se ne sono occupati ecc. (e possiamo essere certi che chi ha avuto l´idea qualcosa ci avra´ pure guadagnato), e´ la
penultima barriera abbattuta che separa il pubblico – non dal personale – ma dall´intimo! A chi e´ scettico e refrattario fra i piu´materialisti dico semplicemente di riflettere sul fatto che ogni societa´ basata su una comunita´ solidale non ha mai fatto a meno di uomini e donne dedite al gesto della gratuita´ assoluta, del dono senza ricompensa, che appartiene anche alla grande poesia: qualcosa di diverso, pero´, – lo dico perche´ non sorgano equivoci – dalla oblativita´ coatta cui sono ancora costrette le donne. Siamo sicuri che una comunita´ possa sopravvivere senza tutto questo? Voglio concludere rispondendo a una facile obiezione? Ma allora occorre tornare al religioso come lo abbiamo conosciuto? Per niente e l´ho gia´ scritto. L´istituzione e´ altrettanto fuori gioco su questo aspetto, ma voglio ritornarci con un ultimo film, fra i meno noti e piu´ belli dei fratelli Taviani: Il giorno oltre la notte. Siamo nel Regno delle due Sicilie a meta´ dell´800. Un ufficiale, credo anche nobile, con una brillante carriera davanti e un matrimonio di rango, rinuncia a tutto e vestito come un barbone percorre le campagne dell´Italia meridionale, vivendo di quello che trova, predicando, ma piu´ che altro aiutando i contadini. La sua fama di saggio cresce e un giorno capita nella povera casa di due anziani coniugi che gli chiedono di pregare affinche´ sia data loro la grazia di morire insieme.
E´ la prima volta che riceve una richiesta che va oltre le facoltà normalmente umane e lui reagisce con un certo fastidio e timore, pero´ promette di farlo. Prosegue la sua peregrinazione nelle campagne, costruendosi una specie di eremo su una collina. Quando ritorna anni dopo nella zona dei due coniugi, scopre che essi sono morti insieme con grande dolcezza. Lui si commuove e anche un po´ si spaventa, ma ritorna tranquillamente al suo eremo. Le voci però si diffondono e il luogo diventa meta di pellegrinaggio, una coppia gli porta la figlia indemoniata (noi diremmo isterica) e lui cerca di guarirla, ma ha pure il sospetto che la seduzione di lei sia un trucco per metterlo alla prova. Ciò che però lo inquieta di più è la massa sempre crescente che si rivolge a lui e che comincia ad attirare l´attenzione dell´istituzione religiosa. Prima di essere
costretto a diventare un Padre Pio ante litteram, l´uomo lascia il suo eremo e riprende il suo viaggio solitario, facendo perdere sue tracce.
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