Il rifugio e la prigione. La psicoanalisi tra clinica e critica
Adriano Voltolin
Il rifugio e la prigione. La psicoanalisi tra clinica e critica
Mimesis, Milano, 2013
di Recensione di Gian Luca Barbieri
Nel sottotitolo dell’ultimo libro di Adriano Voltolin, Il rifugio e la prigione, si leggono due parole che costituiscono, a nostro parere, la chiave e lo snodo centrale del pensiero dell’autore: “clinica” e “critica”. Esse indicano due dimensioni che si intrecciano intimamente nella prospettiva teorica ed epistemologica di questo psicoanalista e che rinviano rispettivamente ai due versanti kleiniani del mondo interno e della realtà esterna; versanti che si implicano a vicenda tanto da risultare inscindibili. Da ciò deriva che
quella di Voltolin è una “psicoanalisi come clinica e come critica”, che guarda dentro l’individuo e fuori di lui, indagando i modi in cui il “fuori” viene introiettato, condizionando gli equilibri del “dentro”. Va evidenziato che il “fuori” non coincide (solo) con l’oggetto né con la relazione interpersonale, ma si espande fino a comprendere la logica esplicita o implicita del sociale, nei suoi aspetti politici, ideologici, economici e in senso lato culturali, comprese le strutture semiotiche che vengono assorbite inconsapevolmente dall’individuo e intridono la sua weltanschauung.
Il primo dei due poli è indagato alla luce dei riferimenti teorici costituiti da Freud, Melanie Klein, Bion e la scuola kleiniana (da Rosenfeld a Steiner, da Kristeva a Meltzer, da Rose a Polacco Williams, da Miller a Bick), oltre a Lacan e ad altri nomi importanti della psicoanalisi; il secondo polo è considerato a partire soprattutto dalla prospettiva di Marx e della scuola di Francoforte. A far da connettori tra i due versanti troviamo tre forme di narrazione: la letteratura (Goncarov, Goethe, Turgenev, Steinbeck, Musil, Mann, Hoffmansthal, Mc Carthy…), il cinema (Peckinpah, Ford, Aldrich, Hathaway, Brooks, Boorman, Kubrick…) e le vignette cliniche: tre ambiti che allargano lo sguardo del lettore e che hanno una funzione per alcuni aspetti simile a quella del bioniano
“fatto scelto”.
Ciò che ne deriva non è una versione personale della cosiddetta psicoanalisi applicata, ma è invece una “psicoanalisi applicata a se stessa”, nel senso che non si rivolge ad “altro” per indagarlo dal punto di vista psicodinamico, ma che usa materiali “altri” per rivolgere lo sguardo su se stessa e per favorire un’ulteriore tridimensionalizzazione del pensiero.
Gli studi di Voltolin si caratterizzano per la solidissima componente teorica di riferimento, indagata con acuto spirito filologico: non è raro imbattersi in citazioni di frasi e passaggi in genere trascurati, pur appartenenti a opere note, che vengono recuperati ed evidenziati e orientano la riflessione
verso prospettive inedite.
Il paziente che trova spazio in queste pagine è un individuo intriso dalla forza condizionante e strutturante della società, e le psicopatologie appaiono essere un tratto della società stessa. Per questo motivo la psicoanalisi deve adeguarsi, deve trasformarsi in continuazione e deve considerare non solo le nuove patologie, ma anche la sempre più diffusa “patologia della normalità”. “Le sindromi angosciose appaiono una psicopatologia se le si chiama attacco di panico, se invece si manifestano sotto l’aspetto dell’acquisto compulsivo appaiono l’esito felice di una strategia di marketing”. Come dire che se un comportamento
patologico è condiviso, rientra a pieno diritto nella cosiddetta normalità. Una conseguenza della forza strutturante della società iper-moderna è anche il mutamento delle richieste dei pazienti, che spesso pretendono che la psicoanalisi soddisfi le loro esigenze di rapidità, di radicalità e di definitività, non accorgendosi che in questo modo chiedono di curare una patologia in modo patologico.
I primi tre saggi contenuti nel volume sono di ambito più teorico e riguardano: il modo in cui il pensiero di Freud può essere utilizzato nel contesto attuale per affrontare le nuove patologie;
i nuovi orientamenti della psicoanalisi kleiniana; il narcisismo e la relazione oggettuale (a questo ambito si riferiscono il rifugio e la prigione del titolo), testo che comprende anche un’indagine sulla bugia di grande interesse. Il quarto saggio è centrato sull’opera letteraria di Cormac McCarthy e l’ultimo è uno studio sull’educazione e sull’apprendimento in relazione all’identificazione proiettiva.