Skip to main content

IL MITO E’ MORTO, W IL MITO! Ricordando il Sessantotto.

di Gianni Trimarchi

Cinquant’anni! Ma la vivida presenza di quanti hanno partecipato a quel pur breve momento non ci abbandona. Si trattò, sul piano “oggettivo”, di nuove analisi economiche e politiche, che certo modificarono un orizzonte mondiale. Ad un tempo tuttavia non va dimenticato che queste analisi si svilupparono in un particolare clima di effervescenza culturale. È opinione ormai diffusa che conquiste per noi fondamentali, come le leggi sul divorzio e sull’aborto, lo statuto dei lavoratori e le centocinquanta ore, furono la scrittura di questo nuovo modo di sentire. Potremmo ricordare anche altri aspetti non scritti come la parità fra i generi e la liberazione sessuale, che hanno toccato più o meno tutti i partecipanti al movimento, diventando poi una conquista stabile per le nuove generazioni.
A monte di tutto questo, una base materiale. Il miracolo economico aveva aperto nuovi spazi ai giovani, segnando ad esempio un boom delle iscrizioni all’università. Questa istituzione, elitaria fino a poco tempo prima, era diventata improvvisamente di massa, senza però che le strutture si fossero adeguate alla nuova condizione[1]. Si trattava di una situazione ad un tempo di crescita e di crisi, quindi instabile, sulla quale ebbero effetti dirompenti alcune circostanze internazionali, come la guerra del Vietnam, o la rivoluzione cubana. Lelio Basso affrontò il tema in un comizio:

     da quando si è visto che i contadini vietnamiti, poveri e male armati, riuscivano a vincere
     contro i computers dell’esercito americano, al mondo non c’è più stata autorità che tenesse[2]

Il mito del computer onnipotente era stato sfatato, creando una nuova prospettiva, che andava al di là del mito stesso. Non a caso l’origine del movimento studentesco sta nei vari comitati Vietnam, che offrivano la loro solidarietà ad un popolo perseguitato, ma capace di difendersi. Questo costituiva un esempio in un contesto segnato dall’obsolescenza delle categorie di lettura della realtà sociale e addirittura dalla crisi dei fondamenti dell’etica e dell’identità.
Aleggiavano nell’aria le teorizzazioni di grandi autori come Marx, Adorno, Lukàcs e Marcuse. Non si trattò tuttavia, in prima battuta, di analisi scientificamente fondate, ma di un clima, di una coscienza collettiva, che contagiava tutti i partecipanti, trascendendo il contenuto manifesto dei discorsi che si facevano. Come scrive Dietrich Wolf, ex presidente nazionale del Sozialistiche Deutsche Studentbund ,

Se si ascoltano o si leggono oggi i discorsi di Dutschke, suonano così marxisteggianti e burocratici, che si fa fatica a capire perché allora fossero così efficaci. Quello che lui scriveva su Lenin era un marxismo piuttosto noioso. Ma quello che trasmetteva quando parlava era su un altro livello. Sembrava dire: “Tu sei necessario, tu devi agire. Vogliamo un mondo nuovo”. Ed era molto, molto impressionante[3].

In sostanza, il contenuto latente del discorso, sentito più ancora che dichiarato, sembrava rinviare al “teatro della Provvidenza” di Calvino, o all’intuizione occamista che, secondo De Certeau, dichiara in forma definitiva la decadenza del razionalismo legato alla scolastica medioevale[4]. Si trattava di una nuova mitologia trasmessa nel profondo, dei “brontolii sul fronte teologico” che, secondo R. Collins, “preludono a temporali più sostanziali su altri fronti di ribellione[5].
Anche Paolo Flores d’Arcais, facendo riferimento alla sua esperienza parigina nel maggio francese, parla in sostanza di una nuova coscienza collettiva, tesa a modificare ad un tempo la sensibilità individuale e la realtà storica:

      Si occupava, si manifestava, si viveva tutti insieme per tutta la giornata (e qualche volta anche       la notte). L’impegno politico era fortissimo, ma contava anche la straordinaria esperienza          esistenziale…Era sparita non solo la solitudine, ma la possibilità stessa della solitudine…il tuo    mondo non era più di poche persone, ma di decine di migliaia di amici, quindi soprattutto di         ragazze, che si sentivano parte della tua stessa festa… la gioia della lotta e la sensuale        leggerezza degli amori, incanti intrecciati, indistinguibili[6].

Questo mondo incantato si esprimeva in Itali in una forma peculiare. Come scrive Luciana Castellina, da noi il Sessantotto fu “un movimento colto[7], ma anche dotato di una sua specificità, perché gli intellettuali italiani si dimostrarono capaci di essere “organici”.

      Anche [nel maggio francese] si provò ad andare nelle fabbriche…solo che il Partito comunista      francese e il sindacato francese misero un servizio d’ordine armato per respingere ogni        tentativo di questo tipo. In Italia invece il Sessantotto fu operaio quasi subito. Ci furono scontri
    con il sindacato , ma anche aperture…La cosa straordinaria del Sessantotto italiano fu       l’ntreccio con il Sessantotto operaio. Fu una rivoluzione culturale molto più forte, che produsse     una serie di fenomeni importantissimi: medicina democratica, psichiatria democratica, i consigli
    di zona, i consigli di fabbrica…in questo consiste la sua assoluta peculiarità rispetto al
     Sessantotto nel resto del mondo[8].

Ci rimane oggi la memoria e l’eredità di un momento magico in cui un potente intreccio di ragioni e passioni ha modificato in forma stabile alcuni aspetti del nostro ovvio antropologico. Tutto questo è da ricordare, anche in un momento di chiusura e di crisi come quello attuale, che sarà pur destinato a sfaldarsi, dando luogo a nuovi miti e a nuove forme di civiltà, di cui questo passato, in certo senso, rappresenterà la dunamis.

[1] Il discorso divenne poi drammatico con la liberalizzazione delle iscrizioni, messa in atto nel 1969-70 dal socialista Tristano Codignola.

[2] Lelio Basso parlava durante un comizio del PSIUP tenutosi nella sede del Piccolo teatro di Milano nel 1968-69.

[3] Karl Dietrich Wolf, La nostra vittoria con Dutschke, in Micromega n1, 2018, p 37

[4] M De Certeau La fable mystique 1,trad. It. Fabula mistica 1, Milano, Jaka Book 2008 p 101

[5] Collins R., Conflict Sociology. Toward an explanatory science, Academic Press Inc., New York 1975; trad. it. Sociologia, Zanichelli, Bologna 1980, p 374

[6] Paolo Flores d’Arcais, Gli anni dell’incanto libertario, in Micromega n.1, 2018, p 130

[7] Luciana Castellina, Dall’ortodossia del partito all’eresia del movimento, in Micromega n1 2018, p 25.

[8] Ivi pp 32-33


La Società di Psicoanalisi critica promuove lo studio, la ricerca e la formazione nel campo della psicoanalisi di Freud e di coloro che dopo di lui ne hanno continuato l’opera.
Vuole valorizzare gli aspetti teorici e clinici che fanno della psicoanalisi una scienza che indaga le forze psichiche operanti nell’uomo, in quanto singolo individuo e negli uomini, nelle loro aggregazioni sociali.

“Tutti i numeri dei Quaderni di Psicoanalisi Critica sono reperibili su ordinazione nelle librerie e disponibili presso la Libreria Franco Angeli Bookshop – Viale dell’Innovazione,11 – 20126 Milano.

Chi fosse interessato a ricevere uno dei volumi tramite posta può telefonare a Mariangela Gariano 3473696724”
  • VIOLENZA E RESPONSABILITA’ di Marina Ricci
  • POLITICA E ATTO di Giuseppe Perfetto
  • Primo incontro Seminario “LA CLINICA DEL COCOONING: IL FUNZIONAMENTO DELL’AUTOESCLUSIONE”
  • SEMINARIO “LA CLINICA DEL COCOONING: IL FUNZIONAMENTO DELL’AUTOESCLUSIONE”
  • Presentazione del libro STORIA PASSIONALE DELLA GUERRA PARTIGIANA
  • IN MEMORIA DI PIERFRANCESCO GALLI