Il male e la sua ripetizione

Written by Adriano Voltolin. Posted in Articoli

letteredi Adriano Voltolin

E’ noto che, nella psicoanalisi kleiniana, il superamento della posizione schizoparanoide è legata alla capacità di tollerare il pericolo di investire con la propria aggressività anche il seno buono. Proprio su questa tolleranza si erige difatti la riparatività che è la caratteristica fondamentale della posizione depressiva. La scissione che è originariamente sottesa a questi fenomeni, seppure debba essere ridotta per poter accedere alla depresssività, costituisce comunque un passo ineludibile nello sviluppo mentale del bambino.

La grande intuizione di Bion circa l’aspetto positivo della identificazione proiettiva ci aiuta a chiarire un punto però di grande importanza: è necessario che la madre possa costituire un contenitore per le proiezioni dell’aggressività e dei sentimenti angosciosi da parte del bambino senza che si instauri un gioco di rimando degli oggetti proiettati: se ciò difatti avvenisse, il bambino, impossibilitato a ritrovare nella realtà un oggetto entro il quale sia possibile convogliare tutto ciò che appare cattivo e pauroso, non potrebbe che procedere ad un’elaborazione solitaria dell’angoscia con le prevedibili conseguenze patologiche. Il raggiungimento della posizione depressiva prevede quindi che vi sia stata in precedenza una ragionevole scissione primaria tra oggetti buoni e cattivi, tra il bene ed il male. Situazioni di insufficiente scissione sono riscontrabili in alcune gravi patologie borderline, ma anche, a parere di chi scrive, sembrano presenti nei quadri di depressione di una certa rilevanza (1).

E’ proprio attraverso la presentazione di una seduta e di due sogni di un paziente depresso che si cercherà di dimostrare la tesi di una insufficiente scissione primaria in questi quadri patologici.

Il paziente è un uomo di sessanta anni, un professore di scuola media da poco in pensione. E’ una persona molto colta, ha cercato per un po’ di tempo, all’epoca dei suoi studi, di seguire il lavoro di Franco Fornari, l’idea di diventare analista è stata accarezzata, ma poi anche abbandonata, a causa, probabilmente, della depressione. Aveva iniziato, poco più che ventenne, un’analisi kleiniana, ma, dopo quattro anni di lavoro, la sua analista era mancata improvvisamente a causa di un male fulminante. Lui, che era l’ultimo di sei figli, unico maschio, aveva sempre avuto un’immagine della madre come di una donna esausta, sfinita dai troppi figli – almeno questa era la sua idea – e incapace da sempre di fornire a lui quell’attenzione e quell’amore che si sarebbe aspettato. Il dolore per la morte dell’analista gli era quindi apparso come una nuova perdita di una donna/madre attenta e devota. Si era, alla notizia di questa morte, chiuso in casa per alcuni giorni e si era messo compulsivamente a costruire una seggiola-scala di quelle in dotazione ai sommergibili (il tema dell’abisso e dello sprofondarvi dentro sarà una questione ricorrente della sua analisi).

Dopo anni aveva ripetutamente tentato di iniziare un’altra analisi, ma tutte le esperienze gli erano parse deludenti. Incuriosito dal buon risultato analitico che gli era parso di vedere in un mio paziente da lui conosciuto per motivi professionali, arriva ad un certo punto a chiedermi una consultazione. La sua incertezza e timore sul riprendere ancora una volta un’analisi consigliarono di intraprendere un lavoro con un basso numero di sedute settimanali e senza l’uso del lettino. La seduta che qui viene riportata è l’ultima prima di una vacanza estiva: i temi dell’uso del divano analitico e dell’aumento della frequenza settimanale erano già stati nel frattempo presi in considerazione.

Il paziente inizia a parlare dicendo che questa è l’ultima seduta prima delle vacanze. Gli pare strano di non avvertire un senso di perdita o di rancore. Gli faccio notare che ha dimenticato di pagare l’ultima seduta e che probabilmente questo atto indica una rimozione dei sentimenti ai quali ha fatto cenno. Se ne è accorto appena uscito, afferma, e se ne scusa, ma pare sentire la mia osservazione come marginale. Dice che non ha mai ben chiarito forse quali sentimenti nutre nei miei confronti. Gli faccio notare che il passaggio al lettino e l’aumento del numero di sedute settimanali sono cose che gli hanno sempre comunicato un senso di incertezza e di timore e quindi probabilmente anche un sentimento ambivalente verso di me. Concorda con questo e dice che lo sa che è effettivamente così.

Vuole però raccontarmi due sogni, sente che è più importante per lui in questo momento dirmi di questi sogni che soffermarsi sui temi appena accennati.

Primo sogno: lui ha ucciso una fragile vecchietta ed è colto dall’orrore e dal senso di colpa per avere compiuto un gesto irrimediabile e della cui colpa, sostiene, non potrà mai più liberarsi. Il terribile di compiere un delitto, osserva, sta anche nell’impossibilità di ritornare indietro, di ripensarci.
Associa il sogno al ricordo di quando, erano allora fidanzati, si offrì di tenere a casa propria l’anziana cagnetta della donna con la quale poi avrebbe convissuto ed avuto due figlie.

La ragazza e la madre dovevano andare in treno a trovare l’altra figlia che era ricoverata in una comunità per tossicomani. La cagnetta era molto viziata, uggiolava continuamente, sporcava. Lui, che non aveva avuto mai grande simpatia per gli animali, esasperato, le mollò ad un certo punto un calcio. La cagna ne riportò un tale spavento da averne un ictus che, nel giro di poche ore, la condusse a morte. L’accaduto gli parve talmente vergognoso e terribile da non poter essere confessato. Disse alla fidanzata che l’ictus era sopraggiunto per un litigio con il gatto che lui aveva e non rivelò mai a nessuno questa cosa fino a questa mattina.
La seconda associazione è relativa invece alla nonna di una sua antica fidanzata che aveva molto amato. Vivevano insieme, nonna e nipote, perché i genitori della ragazza erano entrambi morti e la giovane non aveva altri parenti. Vivevano in una piccola casa allora di periferia, in via Gluck, buia e senza riscaldamento (una casa che il paziente definisce di una povertà dostoevskjiana). La vecchina gestiva una trattoria per operai, cucinava molto bene ed era contenta quando glielo si diceva.

Secondo sogno: il sogno è localizzato nell’Africa del Sud. Lui lo associa a Cuore di tenebra, il celebre racconto di Conrad
C’è una città a forma rettangolare che ne contiene un’altra, più piccola, pure rettangolare. Il perimetro e le mura della città esterna la indicano come luogo della socialità e del vivere civile. La città più interna è presidiata interamente da quindici soldati: è un luogo protetto perché vi si custodisce, in gran segreto, il male. E’ il luogo del male e dell’orrore. La zona delimitata dalle mura è costituita da testi scritti come le pagine stampate dei giornali, uno spazio quindi per intero occupato dalla trama della scrittura. A nascondere ancora di più il male, il testo della città interna è in verità fotografato come lo sono i testi scannerizzati. Si tratta quindi non di un vero testo, come parrebbe, ma solo di una immagine. In tal modo ciò che appare scritto non ha alcun significato comprensibile.

Associa i quindici soldati ai suoi quindici anni quando, in vacanza al mare, una ragazza meravigliosa, sua coetanea, si era invaghita di lui e per baciarlo lo invitava a scivolare con lei sottacqua. Per lui quella ragazzina era la bellezza e la purezza assolute. Dice di averla cercata su Internet e di aver visto – lo dice con un tono di rassegnata malinconia – che quella ragazza, ora una matura signora, è un avvocato.

L’orrore come sintomo di una scissione insufficiente

L’orrore, un termine ricorrente nell’analisi di questo paziente, è dato dalla constatazione che la soppressione degli aspetti disturbanti ed invadenti della cagnetta, cioè della madre odiata a causa della sua distanza emotiva (2), non può essere disgiunta dalla soppressione della bontà rappresentata dalla nonna della fidanzata che abitava in via Gluck (3). L’odio per l’oggetto è associato difatti dal paziente alla bontà di una donna anziana e materna ed alla pena per un’abitazione di una povertà dostoevskjana, di una povertà quindi quasi sacra.

Orrore è ciò che suscita l’inavvicinabilità del sacro, ciò che risulta fuori da quanto la legge include, il sovrano quindi, ci ha mostrato Giorgio Agamben (4), e colui che è bandito ed è uccidibile senza colpa. Il sovrano ed il bandito sono, nella filosofia del diritto, l’inclusione dell’esclusione, corpi sottratti all’imperio della legge, eccezioni. Di sacro orrore della morte ha parlato, tra gli altri, Carducci. E’ l’eccezionalità che incute spavento in quanto diversità radicale, irraggiungibilità; la testa della Medusa pietrifica chi la guarda e sono impossibilitati

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a dire coloro che sono stati messi a parte dei misteri di Eleusi5. Di orrore sacro parla anche Paul Valery a proposito della reazione suscitata nel 1865 dalla presentazione a Parigi di Olympia, il celebre quadro di Edouard Manet6: la proposizione della nudità della prostituta proletaria è scandalo, idolo; potenza e presenza pubblica di un sordido arcano della società. Il sottile nastrino nero al collo di Olympia appare il rimando alla rispettabilità borghese che delle giovani proletarie vuole solamente il corpo respingedone l’esistenza, esattamente come accade oggi con gli immigrati, fuori dalla visibilità della civitas. Orrore è accostamento di ciò cha va respinto al perimetro del suo opposto – il presentabile – e del normale, orrore, aveva scritto Franco Rella, è ciò in cui si rimane acquattati come nel fango di una palude (7). Orrore era il sentimento evocato nel paziente al ricordo di una fotografia di un lager nazista nella quale si vede un uomo che, in attesa della pallottola che sta per ucciderlo, stringe al petto un bambino indicandogli, in un estremo anelito di protezione e salvezza, l’azzurro del cielo.

L’orrore è anche il tramite tra il primo ed il secondo sogno ed il medium è Cuore di tenebra. Il protagonista, Kurtz, reso magistralmente al cinema da Marlon Brando in Apocalypse Now di Francis Ford Coppola, sicuro della sua cultura e della sua missione, è messo a contatto con ciò che sta al di la, con una zona grigia nella quale la pietà è un sentimento da respingere perché non consente di sopravvivere e dove le ragioni e i torti degli uni e degli altri divengono indistinguibili. Siamo in un limbo dove il massimo dell’adorazione può coincidere con l’uccisione, come aveva sottolineato anche Freud a proposito della divinità in Totem e tabù, e dove ogni cosa può prendere il posto di un’altra. Kurtz che può permettersi qualsiasi cosa, soddisfare qualsiasi appetito e praticare qualsivoglia atrocità diviene, come ha scritto Hanna Segal, the prime devil among the devils (8). Kurtz muore dicendo: l’orrore, l’orrore.

L’orrore che ha incontrato inoltrandosi, come aveva fatto anche Dante – è l’acuta notazione della Segal – nella tenebra della giungla e nelle tenebre delle pulsioni primarie dove gli oggetti non esistono se non nella veste di ciò le soddisfa.

Una topologia del male

Il male, nel secondo sogno, è confinato nella città più interna. All’esterno invece la città appare come il luogo ove si svolge, in modo apparentemente armonioso, la vita degli individui associati. Il sogno del paziente sovverte la disposizione tra il bene ed il male che aveva rappresentato Ambrogio Lorenzetti in due affreschi, Il buon governo ed Il cattivo governo nel Palazzo Pubblico di Siena (9). Il bene ed il male sono qui giustapposti come sono giustapposti il Cristo ed il falso Cristo nel Giudizio Universale di Luca Signorelli nell’affresco del Duomo di Orvieto che era stato oggetto di ammirazione anche da parte di Freud. In ambedue gli affreschi, composti a circa centocinquanta anni di distanza tra di loro, il male appare qualche cosa che si oppone al bene come nell’iconografia cristiana il Maligno si oppone a Dio. Il sogno del paziente ci mostra invece un male che è all’interno del bene e, se si guarda la cosa da un altro punto di vista, vi è un bene che ha l’oggettiva funzione di nascondere il male. Come aveva rilevato in un lavoro di straordinaria acutezza Joan Riviere nel 1937 (10), il sogno del paziente mostra come il bene possa servire ad allontanare e confondere degli aspetti scissi. La topologia del sogno indica inoltre come il male sia più interno del bene, ne costituisca il nocciolo più intimo, come aveva affermato Freud nel 191511 ed aveva più ampiamente ripreso nel 1921 (12). Il negativo (13) costituito dalla città interna appare il fondamento, l’interno dell’interno, del bene. Se si immaginano le mura perimetrali della città come qualche cosa che delimita l’interno, il conosciuto, il bene, rispetto ai loro opposti, ne emerge che ciò che è più interno – il male – è quindi omologo a ciò che è all’esterno. Si compone così la figura del toro che Lacan aveva utilizzato per indicare la struttura dell’inconscio.
A presidiare il luogo del male, ad impedire che esso possa danneggiare la civitas, troviamo i quindici soldati che il paziente associa al tempo dell’amore totale per la coetanea che lo portava con lei sottacqua per baciarlo. L’amore dei quindici anni appare al paziente come l’amore per un femminile assoluto che ben identifica quello che in un’altra seduta aveva indicato come una meravigliosa madre primaria che fa coincidere la bellezza e la bontà. I quindici soldati sono dei custodi, negli esatti termini della riparatività kleiniana, che proteggono il corpo del bene dalle aggressioni del male e che ne tutelano l’integrità.

La rassegnazione con la quale il paziente dice di aver ritrovato su Internet notizie della ragazzina meravigliosa ora trasformata in un maturo avvocato, ci mostra nuovamente la difficoltà per lui di sopportare che la meraviglia del femminile (la ragazzina quindicenne) possa essere avvicinata da una parte meno folgorante: una donna di mezza età sulla quale certamente il tempo – come per lui – ha lavorato erodendo, insieme, la bellezza e l’entusiasmo. L’amore dell’uomo per la bellezza e la bontà non riesce ad accedere alla gratitudine: ciò che non è più corrispondente all’idealizzazione non lo è in quanto ha dovuto subire una degradazione piuttosto che un’integrazione con la realtà. Frequentemente il paziente fa, per esempio, degli accenni sprezzanti al suo corpo che vede grasso e imbolsito (in realtà ha un fisico da normale sessantenne e non certo da palestrato incapace di accettare i segni del tempo sul proprio corpo); pare totalmente incapace di ritrovare nel proprio corpo di persona matura il ragazzo certamente più tonico che era stato e di provare indulgenza per gli attacchi che l’età porta alla bellezza giovanile. Il corpo invecchiato e imbruttito è solo obiettivo del disprezzo e della svalutazione.

La consistenza del male

La città del male, come quella della società civile, ha, nel sogno, la propria area riempita di blocchi di stampa, ma l’area della città interna è riempita da una falsa scrittura; essa difatti non è una vera e propria scrittura, ma è una immagine di scrittura come quella che si ottiene con la tecnica dello scannering. Non solo quindi il testo che ricopre l’area della città interna non è un vero testo, ma è il frutto di una doppia falsità in quanto non solo ciò che vi si potrebbe leggere non ha alcuna relazione con la verità, il male, ma pone anche su una pista totalmente fuorviante in quanto il testo stesso non è un vero testo, ma solamente un’immagine. Il male non può essere detto o rappresentato non in quanto un divieto, o l’orrore, lo impedisce, ma in quanto ciò che possiamo vederne, il testo-immagine, è destinato ad essere l’unica conoscenza, esterna che ne possiamo avere. Non è casuale che nel sogno del paziente il male abbia la medesima struttura formale del nome di Dio nella tradizione cabalistica: Yaho non è il nome di Dio, ma il tetragramma che forma un sigillo che deve nascondere il vero nome di Dio e quindi la fonte della creazione. Il vero nome di Dio è ciò che si fa scrittura e quindi parola, mondo, e Satana è la materialità della natura attraverso cui tutto ciò accade14. La natura del male non è comprensibile in quanto non possiede una ragione: come aveva intuito il Kurtz di Cuore di tenebra, il male non è penetrabile, indagabile, dalla ragione in quanto ne mette in scacco gli strumenti stessi. Esso coincide con il punto di collassamento che la fisica teorica ha chiamato il black hole. Se cessasse la spinta espansionistica del big-bang, l’universo collasserebbe in un punto del quale non conosciamo nulla e non possiamo conoscere nulla giacché gli strumenti di comprensione che noi possediamo sono relativi all’universo in espansione. L’orrore del male consiste nel suo essere privo di un perché. Jacques Lacan, tra gli psicoanalisti post-freudiani, è quello che più si è avvicinato all’importanza di questo tema con le nozioni di reale e di godimento (15); più recentemente psicoanalisti di formazione kleiniana hanno ripreso con vigore il filone di studi collegato alla centralità della pulsione di morte nel pensiero di Melanie Klein (16).

Ad un certo punto della seduta dico al paziente che pare non riuscire a sopportare ciò che si presenta come pura ripetizione, la petulanza della vecchia cagnetta, la depressione costante della madre, ma anche il timore di essere irretito in una nuova analisi che, lui teme, gli riproporrebbe i percorsi già noti e le cose già dette: è per non odiarmi che evita di provare sentimenti nei miei confronti. Lo stare in uno stato di sospensione gli consente di fare l’analisi senza aderirvi in un totalmente che avvertirebbe pericoloso pere se, per l’analista e per la loro relazione. Mi risponde che gli viene in mente una vecchia canzone di Luigi Tenco, Un giorno dopo l’altro: in essa si parla del tempo e della vita che se ne vanno tra strade e case sempre uguali, così il futuro è ormai passato ed i sogni rimangono sempre e solo tali. E’ proprio questa ripetizione identica a se stessa e senza speranza, mi dice, che ha condotto Tenco al suicidio. Il male si presenta come ripetizione pura, come ciò che non ha fine. E’ quanto aveva avvertito Freud in Al di la del principio di piacere quando aveva individuato nella coazione a ripetere una spinta demoniaca che porta a ripetere le esperienze spiacevoli allo scopo di dominarle (17).

Note

1) Per quanto riguarda i testi della Klein si rinvia a Contributo alla psicogenesi degli stati maniaco-depressivi (1935) e a Note su alcuni meccanismi schizoidi (1946) in Scritti 1921-1958 Boringhieri, Torino 1978. Per Bion Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico Armando, Roma 1970. Gli stati di insufficiente scissione mostrano frequentemente, sul piano sintomatico, dei fenomeni di confusione ed inversione tra ciò che è buono e ciò che è cattivo. Certi stili educativi sembrano oggi rappresentare un’oggettiva difficoltà nel raggiungimento di una stabile differenza tra seno buono e seno cattivo. Si veda per esempio il caso descritto da Lynda Miller “Idealizzazione e disprezzo: le due facce del processo di svalutazione del seno nel rapporto di allattamento” in Gianna Polacco Williams, Jane Desmarais, Kent Ravenscroft (a cura di) Le difficoltà di alimentazione nei bambini. La generosità dell’accettare Bruno Mondadori, Milano 2006

2) Il paziente ricorda che, da bambino, aveva frequentemente fatto delle fantasie circa la morte della mamma quando capitava che questa ritardasse nell’andarlo a prendere dall’insegnante che gli dava delle lezioni di ripetizione. Rammenta che questa fantasia lo spaventava molto.

3) Il paziente conosce un poco il tedesco. La via milanese altrimenti nota per la celebre canzone di Adriano Celentano è intitolata al musicista tedesco Christoph Gluck vissuto nel diciottesimo secolo, ma il sostantivo Gluck, in tedesco, è una curiosa commistione di Glück (fortuna) e Glucke (chioccia)

4) Giorgio Agamben Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita Einaudi, Torino 1995

5) Sullo sguardo e sul guardare in psicoanalisi si rinvia a Adriano Voltolin La notte dell’anima. Simbolo e simbolizzazione nella teoria e nella pratica psicoanalitica Franco Angeli, Milano 2000

6) Per un esame critico del quadro di Manet in un’ottica psicoanalitica lacaniana si rinvia a Contardo Calligaris Il quadro e la cornice Dedalo, Bari 1975

7) Franco Rella Figure del male Feltrinelli, Milano 2002, pag.85

8) Hanna Segal Psychoanalysis, Literature and War Routledge, London 1997

9) Ai lati del Governo, simboleggiato da un solenne vecchio, stanno la Temperanza, la Giustizia, la Prudenza, la Fortezza e la Pace. Figure invece del cattivo governo appaiono la Tirannia, la Crudeltà, il Tradimento, la Frode, il Furore, la Discordia, la Guerra. Mentre la Giustizia appare calpestata, appaiono nella parte più alta dell’affresco l’Avarizia, la Superbia e la Vanagloria

10) Joan Riviere “Odio, avidità e aggressività” in Melanie Klein e Joan Riviere Amore, odio e riparazione Astrolabio, Roma 1969

11) Sigmund Freud Metapsicologia in OSF vol.VIII, Boringhieri, Torino 1976, pag.34

12) Sigmund Freud Psicologia delle masse e analisi dell’Io in OSF vol.IX, Boringhieri, Torino 1977

13) Il negativo appare essere in stretta correlazione con il male. Goethe nel Faust presenta il Maligno come lo Spirito che sempre nega (Wolfang Goethe Faust Einaudi, Torino 1965, pag.40). Collegato alla pulsione di morte, ma anche unico fondamento dell’individuazione, appare anche il negativo nella poesia di Eugenio Montale nel celebre passaggio di Ossi di seppia: Codesto solo oggi possiamo dirti,/ciò che non siamo, ciò che non vogliamo (Eugenio Montale Tutte le poesie, Meridiani Mondadori, Milano 1984, pag.29). Sul tema del negativo come fondamento della conoscenza si rimanda al bellissimo lavoro di John Phillips “The fissure of authority: violence and the acquisition of knowledge” in Reading Melanie Klein (edited by John Phillips and Lindsey Stonebridge, Routledge, London 1998

14) Si veda per questa questione Gershom Sholem Il nome di Dio e la teoria cabbalistica del linguaggio Adelphi, Milano 1998

15) Jacques Lacan Il seminario. Libro VII. L’etica della psicoanalisi 1959-1960 Einaudi, Torino 1994 e Jacques Lacan Il seminario. Libro XXIII Il sintomo 1975-1976 Astrolabio, Roma 2006

16) Si veda in proposito Julia Kristeva Melanie Klein. La madre, la follia Donzelli, Roma 2006

17) Sigmund Freud Al di la del principio di piacere in OSF vol,. IX, Boringhieri, Torino 1977, pag.221

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Adriano Voltolin

Adriano Voltolin, psicoterapeuta, psicoanalista, è Presidente della Società di Psicoanalisi Critica, Direttore scientifico dell’Istituto di Psicoterapia Psicoanalitica di Sesto San Giovanni (Milano) e Direttore della Rivista “Costruzioni psicoanalitiche”. E’ docente presso il Corso di Teoria Critica della Società presso l’Università di Milano-Bicocca. E’ autore di numerose pubblicazioni sulla teoria e la clinica psicoanalitica.
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