IL CORONAVIRUS ED IL FANTASMA DI JOKER

Written by laura. Posted in Articoli, homepage

letteredi Adriano Voltolin

Credo, immagino come molti altri, che i provvedimenti presi dal governo, in presenza di un virus nuovo rispetto al quale non abbiamo ancora sviluppato strumenti atti a contenerlo, siano complessivamente ragionevoli. Lo scopo è quello di rallentare fortemente la contagiosità del virus evitando che le persone si assembrino; strumento elementare se si vuole – come sparare alle gomme di un auto per fermarla quando i freni per qualche motivo non funzionino – ma antico (era quello utilizzato contro le pestilenze) e collaudato.
Quel che si vuole però mettere in rilievo in questa sede è la natura dello strumento utilizzato per far questo, lo stato di eccezione, il quadro in cui questo si inserisce e le sue ripercussioni nella vita civile di ogni giorno.

1) Lo stato di eccezione, tema sul quale si è soffermato il collega Sarantis Thanopulos qualche giorno fa sulle colonne de Il Manifesto, è il discrimine attraverso il quale, secondo Carl Schmitt, si chiarisce chi detiene il potere. L’eccezione è qualche cosa che sospende la regola, cioè il funzionamento normale: nel caso per esempio di una pandemia, come quella attuale, certe libertà individuali e collettive dei cittadini vengono ridotte per proteggere la collettività. Le decisioni vengono allora prese da chi ha il potere di assumerle sospendendo ogni procedura di discussione e di collegialità. 
E’ evidente che lo stato di eccezione è giustificabile a due condizioni: che sia limitato al tempo nel quale la causa per la quale è stato adottato viene risolta e che costituisca una modalità non abituale di affrontare i problemi.
La seconda condizione è quella sulla quale, almeno per il momento, è opportuno soffermarsi. Nelle parole dei politici di questi giorni, compreso il presidente del consiglio il quale peraltro sta affrontando la vicenda con una dignità anche personale che non è frequente nel nostro personale politico, questa questione della particolarità e anche dell’estrema delicatezza di uno strumento come quello dello stato d’eccezione non pare venire quasi avvertita: si fa fronte ad un problema grave con gli strumenti che gli scienziati pensano migliore. A parte l’ovvia considerazione che uno scienziato si occupa sello studio di ciò che inerisce il suo campo, ma, proprio per questo, l’essere uno scienziato, non può essere confuso che con chi ha il compito, ed il dovere, di assumere decisioni di politica sanitaria. Questo modo affrontare i problemi affidandone la risoluzione ai tecnici, proprio in quanto modalità ripetuta fa si che,di fatto, lo stato di eccezione diventi la regola: sul corona virus decidono i virologi, sulle crisi finanziarie gli economisti, sulle migrazioni gli “esperti” delle migrazioni e così via. I grandi problemi non vengono in questo mai colti nella loro relazione con la loro genesi e con il funzionamento delle relazioni sociali; ogni grande problema appare così isolato, frutto del caso e di un destino “cinico e baro” al quale il presidente Giuseppe Saragat attribuì la sconfitta elettorale. Non importa cogliere le cause ed avere una visione binoculare come dice Bion: l’importante è risolverlo, eliminarlo, trovarne – tristi ricordi – una “soluzione finale”. Tutto ciò che costituisce un problema, tanto più se rilevante, deve essere affrontato con strumenti e modi, appunto, eccezionali.
La discussione, il confronto delle idee, quel parlare che Eva Gerace nel lavoro pubblicato in questa stessa sede individua come la più importante protezione contro il male, viene di fatto liquidato come inutile perdita di tempo. Lo stato di eccezione affida la risoluzione di un problema ad un sovrano che taglia corto con ogni chiacchiera e agisce con decisione per contrastare il male: che alle porte vi sia il nemico, un virus, gli immigrati, una crisi finanziaria, l’idea, paranoide, è sempre che ci si debba affidare all’azione pronta e risoluta; a quale azione diviene una questione secondaria.
In Italia abbiamo ormai sperimentato come lo stato di eccezione tenda a divenire la normalità. Così si è fatto con il terremoto dell’Aquila, così ha fatto il governo precedente con le immigrazioni, così  il governo Monti per la crisi economica. In realtà il disastro delle case costruite a L’Aquila nello stato di emergenza, cadenti e abbandonate da anni, i migranti divenuti clandestini nelle città come frutto della proibizione assoluta di venire in Italia, la situazione terribile di tante persone che non sanno quando, come e sulla base di quale patto con lo Stato andranno in pensione sono tutti frutti dello stato di emergenza divenuto normalità come suggerisce anche Giorgio Agamben. Quando il movimento 5 stelle propone l’abolizione di parlamentari inutili e costosi non fa che certificare una radicata incomprensione della democrazia e dei suoi meccanismi: se un parlamento non riesce a produrre leggi bisognerebbe intervenire sul meccanismo di assunzione delle decisioni e non mandare a casa il parlamento.
Lo stato di eccezione, inteso appunto come sospensione o abolizione del confronto e del dibattito, è ovviamente lo stato normale nel quale si muovono le dittature (come hanno fatto notare studiosi di diritto costituzionale e politologi, molto vi sarebbe da dire sulla figura del Presidente degli Stati Uniti che è stata definita spesso come quella di un monarca costituzionale), regimi nei quali il confronto e la discussione pubblica delle scelte politiche non esistono per principio. Come la storia ha dimostrato, salvo alcune eccezioni, le dittature vengono spesso travolte da rivolte violente e da autentici bagni di sangue. L’impossibilità di interloquire con chi emana ordini la cui osservanza è garantita solamente dalla forza fisica e militare, produce in chi vi è sottoposto una reazione di rabbia omicida che può essere attutita attraverso la sottomissione per identificazione oppure per mezzo della creazione di un mondo a parte nel quale le regole oppressive del mondo reale vengono sospese e si può continuare a vivere una vita più libera e migliore: il giardino dei Finzi Contini era in  fondo un po’anche questo, come lo era la scuola fatta a casa per lei e la sorella nei ricordi di Carla Capponi i cui genitori non volevano che le figlie venissero sottoposte agli insegnamenti della scuola fascista. 
La sospensione o la limitazione della libertà deve essere per un tempo contenuto o comunque rigorosamente giustificato dalla risoluzione del problema che l’ha prodotta: l’alternativa è quella di dover ulteriormente ridurre le libertà per contenere tutto ciò che può apparire come una non osservanza dell’ordine. Si innescherebbe in tal modo un circuito paranoide e pericolosissimo e l’esercito nelle strade per mantenere l’ordine non sarebbe affatto un’ipotesi catastrofista. Non è casuale che Vincenzo De Luca, presidente della Campania, l’abbia già chiesto ripetutamente. In una situazione nella quale la forza è impiegata dall’esercito o dalla polizia per reprimere dei moti di rivolta popolare, la personalità autoritaria trova uno sfondo nel quale mimetizzare la propria, come la chiamano Horkheimer e Adorno, struttura caratteriale. Non è certo casuale che siano le destre a chiedere interventi d’eccezione sempre più restrittivi delle libertà invocandone l’efficacia per sconfiggere il virus: si è in presenza di un capovolgimento per il quale non è l’impegno a sconfiggere il virus a giustificare l’impiego della forza, bensì è l’impiego della forza fisica che può essere giustificato dal virus. Horkheimer a Adorno ci dicono che la struttura del carattere è la questione decisiva per capire la personalità autoritaria piuttosto che le ideologie che appaiono tutto sommato secondarie e, al limite, intercambiabili. In termini psicoanalitici, l’identificazione con la legge è sostenuta dal sadismo verso gruppi o individui più deboli e non dal senso di appartenenza ad una comunità ed alle sue leggi.          

2) Lo stato di eccezione produce come effetto diretto la paura della punizione per non avere rispettato la disposizione impartita, paura che prevale nettamente sul desiderio di contribuire, osservando le disposizioni, ad affrontare il problema. La paura che fa rispettare le regole è esattamente il contrario della convinzione che la regola aiuti a perseguire l’obiettivo e per questo debba venire rispettata. Lo stato d’eccezione, l’imposizione senza discussione, riduce i cittadini ad altrettanti Jakob von Gunten ed il paese ad un gigantesco collegio Benjamenta, collegio nel quale non si doveva capire ciò che si studiava, ma solo mandare a memoria quanto i professori dicevano: il collegio, ci diceva Robert Walser, doveva formare eccellenti servitori e non cittadini.      
Le disposizioni emanate dal governo entrano pesantemente nella vita delle persone limitandone fortemente alcune libertà costituzionali come quella di circolare liberamente e di riunirsi, per scopi politici, culturali, sportivi o quali essi siano. La reazione di fronte a limitazioni pesanti imposte da chi ha il potere di farlo, difficilmente viene fatta propria attraverso forme di identificazione con le qualità dell’oggetto (“non mi raggruppo con altri perché penso che in tal modo la diffusione di un virus divenga più difficile”). In taluni casi, oggi sembrano in verità minoritari, vi è una negazione onnipotente del problema ed un atteggiamento di ribellione adolescenziale (“sono tutte stupidaggini, il virus non c’è o è comunque una sciocchezza e quindi faccio quello che voglio”). Assai più frequentemente si assiste al fenomeno, rilevato anche da Massimi Gramellini sulla prima pagina del Corriere della Sera di oggi 13 marzo 2020, che la psicoanalisi conosce come alleanza col persecutore. Per evitare lo scontro con l’autorità che mi impone cose sgradite, aderisco in toto all’ordine ricevuto, me ne faccio addirittura promotore e denuncio chi non si attiene a quest’ordine: riaffiorano quindi nel comportamento collettivo la tendenza alla denuncia e alla delazione che l’Italia aveva per esempio visto quando erano state promulgate le leggi razziali nel 1938 e nel vivo della lotta partigiana nelle città. Chi scrive ha visto ieri in un telegiornale, come molti altri, un poliziotto dire ad un signore anziano che lui non doveva uscire di casa e, di fronte all’affermazione dell’uomo che era uscito per la spesa e stava appunto rientrando, ribadire vada a casa subito: una scena sgradevole del tutto simile a quelle viste in Roma città aperta. Il decreto del presidente del consiglio prevede ed anzi incoraggia un comportamento delatorio come ci segnala in un articolo Candida Morvillo (Corriere della Sera del 13 marzo). L’effetto combinato dell’alleanza col persecutore e dell’asservimento ad esso per mezzo della delazione, ottiene come effetto un clima mentale diffuso che è l’esatto contrario dell’unità d’intenti desiderata e grottescamente richiamata in stucchevoli spot mandati in onda dalla televisione in serie con la pubblicità (autentico atto mancato perché mostra quale sia la rilevanza effettiva che si da a questi messaggi) o dalla retorica dell’ iorestoincasa che ci presenta famiglie finalmente riunite e felici di esserlo: rimanere in casa con i propri cari è certamente un’esperienza importante di calore e di affetto quando è una libera scelta, ma quando è il frutto di un’imposizione ovviamente non lo può essere: altrimenti anche gli arresti domiciliari (ieri una signora che passeggiava col cane diceva a qualcuno al telefono che era nella sua ora d’aria) sarebbero un’occasione di tornare al tepore famigliare. Come diceva una paziente in una seduta, il clima che si respira è quello pesante di una situazione minacciosa e foriera di sviluppi oscuri. 
L’ordine al quale non ci si può sottrarre, anche se giustificato, non cessa per questo di essere un ordine; l’identificazione ad esso per introiezione, quella più matura secondo Freud, richiede una capacità di elaborazione che passa attraverso l’esperienza di un padre simbolico che parla e argomenta le ragioni di un ordine invece di affidarsi all’impossibilità di ribellarsi ad esso. Lo Stato italiano, durante tutta la sua storia, ha fatto ben poco per dare l’esperienza ai cittadini di un’autorità credibile; si rifletta per esempio sul fatto che la Repubblica dell’Ossola aveva fatto per la scuola più cose in quarantatre giorni che lo Stato unitario negli ottanta anni che l’avevano preceduta.

3) Come sa chiunque abbia a che fare con pazienti paranoidi, la necessità di proteggersi da un male che non si vede ma che si sa esserci, appare a questi pazienti una conferma della fondatezza della loro angoscia; questa, in un paziente che ha una personalità con larghi tratti psicotici, proviene dal mondo interno ovviamente, ma è proprio per questo che la presenza di un persecutore nel mondo esterno può, soprattutto nei casi borderline, funzionare come della benzina gettata sul fuoco. La tendenza a proteggersi da pericoli che sono oggettivamente meno gravi di quanto appaiano nelle fantasie interne trova la sua origine, come sa ogni psicoanalista, nella maggiore severità dei genitori interni rispetto a quelli reali. 
La protezione contro un nemico talmente potente da minacciare la vita stessa delle proprie vittime, richiede un contenitore che difenda contro ogni pericolo per quanto grave possa essere; Freud esemplifica bene questo paragonando l’autistico ad un uccellino che, nel suo guscio, è protetto contro i pericoli del mondo esterno ed ha, all’interno del suo contenitore tutto quanto gli necessario per vivere. E’, credo, oltremodo evidente che l’ordine di stare in casa sia facilmente ricollegabile, in questa chiave, alla presa d’assalto ai supermercati cui assistiamo in questi giorni. La disposizione governativa, pur comprensibile nei suoi fini, attiva meccanismi paranoidi primari che sono pericolosi per le persone che soffrono, e non sono affatto poche, di sindromi persecutorie; non solo, la persecutorietà, proprio in quanto si basa su meccanismi primari di difesa, si diffonde, esattamente come un virus, con grande rapidità come ci ha ricordato Eva Gerace attraverso il breve racconto di Garcia Marquez. La nostra società si basa sempre di più su una comunità che non appare più propriamente tale, quanto piuttosto un aggregato di individui ove ciascuno, isolato nei fatti, ha un illusorio contatto con il mondo mediato dai mezzi televisivi e da internet: tanti Napalm 51 per citare il personaggio paranoide creato genialmente da Maurizio Crozza. L’isolamento produce per sua natura diffidenza in quanto è visto come modo per proteggersi da una minaccia; d’altro canto la minaccia funziona come rinforzo dell’isolamento in un circuito senza fine nel quale la diffidenza alimenta l’isolamento e l’isolamento la diffidenza, in una spirale che ha sempre un’evoluzione patologica: si pensi al fatto che tanti pseudo terroristi che hanno ucciso persone per la strada in questi anni, come a Londra, venivano chiaramente da una situazione di isolamento paranoide e persecutorio. Più che terroristi erano in realtà psicopatici, cosa che non dovrebbe naturalmente tranquillizzare nessuno ed anzi spingere ad una riflessione sui possibili nessi – personalmente mi paiono veramente molti – che legano gli episodi di follia criminale, attraverso la loro genesi, alla società che ne ha favorito di fatto lo sviluppo. Tanti personaggi di Ken Loach sono di fatto anche degli psicopatici e certamente lo è Joker, il personaggio che da il nome al film di Todd Phillips e che ha vinto il Leone d’Oro all’ultima mostra del cinema di Venezia.                                   

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