I nuovi alchimisti dell’anima
Ai nuovi alchimisti dell’anima che sono gli analisti, la pratica insegna a cercare nel lapis exilis l’essenza del lapis philosophorum e a rinvenire nelle pieghe di cose “di poco conto” elementi significativi sul piano del senso. Così, anche nell’intervista a Stefano Bolognini elementi di puro dettaglio offrono spunto per riflessioni di merito.
Uno di questi elementi è la mancanza di statistiche e censimenti relativamente ai pazienti che nel mondo (!) si rivolgono alla psicoanalisi; si può solo dire (e non stupisce) che “al momento ci sono soprattutto analisti di formazione”.
Lontanissimo dal riproporre l’insulsa questione della validazione psicoanalitica attraverso dati statistici, mi interrogo sull’inclinazione della psicologia del profondo a riservare un’attenzione preminente alla formazione più che alla terapia e a riservare l’ortodossia del metodo agli ambiti della formazione o poco più, mentre la pratica clinica ripiega su forme più genericamente terapeutiche. La prima, scontata
implicazione è che si rischia uno scollamento fra prassi analitica ideale e reale. La prima viene coltivata
prevalentemente nell’ortus conclusus della formazione; la seconda si estende in forme variamente selvatiche, oltre che selvagge in senso propriamente freudiano, ibridandosi e talvolta contaminandosi con elementi che esulano dal quadro metapsicologico di pertinenza.
Intravedo qui un pericolo legato alle caratteristiche del “pensiero maschile”, che è dominante nella nostra cultura e da cui non va esente la psicoanalisi. L’espressione (junghiana) “pensiero maschile” può essere più o meno felice, ma mette in evidenza l’inclinazione di un certo
habitus mentale a sclerotizzarsi, a istituzionalizzarsi, ad arroccarsi in strutture concettuali e sociali che hanno come finalità primaria quella di preservare se stesse. Per il pensiero maschile rischia di essere più importante salvaguardare l’istituzione che i contenuti della stessa; rischia di essere prioritario coltivare un presunto “vero” pensiero più che coltivare la sintonia del pensiero con un divenire eracliteo, cui non è dato sottrarsi. Il pensiero psicoanalitico, al contrario, sgorgò da un’irrazionale commistione con l’inconscio, nacque come pensiero di rottura, si affermò come pensiero extra-istituzionale e, spesso, anti-isitituzionale.
La seconda implicazione investe una certa tendenza da parte di analisti esperti a occuparsi di formazione in maniera esclusiva o quasi. La patologia psichica è il crogiolo rovente in cui si conclamano in maniera drammatica i processi più vivaci della psiche. La psicoanalisi non è una Weltanschauung a carattere generale applicata alla comprensione del sintomo; è la realtà del sintomo e il confronto con esso ad alimentare una Weltanschauung che si estende ben oltre la clinica. La psicoanalisi nacque dalla tormentata esigenza
di confronto con la sofferenza psichica personale ad opera di figure geniali, che intrapresero una coraggiosa esperienza di autoanalisi dei propri sintomi. L’allontanamento eccessivo dal confronto con la patologia rischia di sospingere verso le rarefatte dimensioni della speculazione e di confinare nei regni (sublimati più che sublimi) dell’astrazione. Il rischio è che, nel frattempo, il reale evolva in direzioni non contemplate da una speculazione autoreferenziale.
Un ulteriore “lapis exilis”: si rileva che in varie parti del mondo “classi colte sono affamate di psicoanalisi”, sparuti manipoli di analisti didatti costituiscono una “testa di ponte culturale” per l’espansione della psicoanalisi in culture extra-occidentali,
la psicoanalisi viene pensata da nomenklature lontane e forse non propriamente progressiste come lo strumento per una nuova, “harmonious society”. Tutto ciò è motivo di orgoglio soprattutto per un Io (individuale o gruppale) che si riconosce nelle caratteristiche specifiche della coscienza occidentale. Forse non si è ancora sufficientemente riflettuto sul fatto che la coscienza di cui noi facciamo esperienza, la coscienza che ha prodotto la psicoanalisi stessa, non è la sola coscienza possibile; è la coscienza maturata in un determinato contesto collettivo e grandemente valorizzata da una parte di essa. Il tipo di sviluppo maturato dalla psiche collettiva occidentale non è il solo percorso evolutivo possibile e non è aprioristicamente il
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migliore in assoluto. La psicoanalisi rischia di essere oggetto della voracità da indigenza, che ingoia con la stessa, indifferenziata avidità telefonini, abiti firmati, vini italiani, strutture di pensiero e vie dello spirito.
A mio padre, in fuga dai Lager sul finire della seconda guerra mondiale, un tedesco benevolente diede da mangiare,
ma lo ammonì di mangiare piano e poco, “perché [lui le parole le ricordava letteralmente] non era abituato e mangiare poteva fargli male”. Qualcuno sta educando gli indigenti del mondo ad assumere con cautela l’opulenza occidentale?, qualcuno sta insegnando che anche il più nobile pensiero occidentale può far male? Uno Jung sinceramente affascinato dalle culture orientali, ma spesso contestato si diceva scettico circa l’opportunità di diffondere lo yoga in occidente. A suo avviso era una via dello spirito maturata in un contesto culturale molto diverso dal nostro, da una psiche collettiva che presentava caratteristiche profondamente dissimili. Nemmeno a lui sfuggiva che i fondamentali della psiche sono gli stessi, “validi in tutte le culture perché tengono conto delle invarianti di base della mente umana”, come scrive Stefano Bolognini; tuttavia, egli coltivava un rispetto reale e rigoroso della specificità individuativa ed era interessato a promuovere vie specifiche e molteplici all’individuazione, più che a promuovere la globalizzazione di qualsivoglia metodo.
La Società di Psicoanalisi critica promuove lo studio, la ricerca e la formazione nel campo della psicoanalisi di Freud e di coloro che dopo di lui ne hanno continuato l’opera.
Vuole valorizzare gli aspetti teorici e clinici che fanno della psicoanalisi una scienza che indaga le forze psichiche operanti nell’uomo, in quanto singolo individuo e negli uomini, nelle loro aggregazioni sociali.
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