I DUECENTO ANNI DALLA NASCITA DI MARX
UNA NECESSARIA PREMESSA
I duecento anni dalla nascita di Marx, avvenuta il 5 maggio del 1818, è bene vengano celebrati non solamente perché si tratta del bicentenario della nascita di un uomo che, come pochi altri nella storia del mondo, è stato in grado di conquistare alle sue idee milioni di uomini che hanno, con il loro lavoro e le loro lotte, fatto, con i loro grandi meriti ed i loro grandi errori, la storia dalla metà del diciannovesimo secolo agli attuali albori del ventunesimo, ma soprattutto perché, ancora una volta, la celebrazione di un anniversario che riguarda il fondatore del “socialismo scientifico” coglie il mondo, quello capitalistico certamente, ma anche tutti quei paesi che ne sono in qualche maniera satelliti, immerso in una crisi strutturale che, appunto, Marx ci ha insegnato essere lo stato di normalità e non l’eccezione nel modo di produzione del capitale e nel mondo che gli si conforma.
Era un mondo squassato dalla guerra quello che vedeva, nel 1918, scoccare il centenario della nascita di Marx, come era un mondo investito dal vento di un grande rivolgimento sociale, ideologico e di costume quello del 1968. La stessa nascita di Marx avviene quando un’epoca della storia europea, quella napoleonica, si era appena chiusa: la battaglia di Waterloo era di meno di tre anni prima e, tre anni dopo, sempre il 5 maggio, l’uomo simbolo di quell’epoca si spegneva a Sant’Elena. La rivoluzione borghese aveva compiuto il suo tragitto contraddittorio e si apriva il tempo del dominio mondiale del capitalismo vittoriano.
In alcune pagine di particolare pregnanza – si pensa qui soprattutto ai Grundrisse , ma anche ai Manoscritti, all’Ideologia tedesca e ad altri ancora – Marx ci ha dato un quadro del “male di vivere” dei singoli individui che trascende la fulminazione artistica di Montale, di Van Gogh o di Munch, per mostrarne la struttura drammatica ove la trama della sincronicità dell’economia si intreccia con l’ordito della storia e della cultura.
La pubblicazione che qui presentiamo ha l’ambizione non di “celebrare” Marx cercando di descriverne il pensiero, certo geniale, in economia ed in filosofia, ma di affrontare, con l’aiuto delle categorie marxiane, nodi ineludibili del vivere dei singoli e della società di cui essi fanno parte.
IL FETICISMO E LA SUA ATTUALITA’
di Adriano Voltolin
Il paragrafo della prima sezione del Capitale che ha per titolo Il carattere di feticcio della merce e il suo arcano[1], è stato, non casualmente, uno degli scritti che hanno rivestito una notevole importanza nel grande movimento che era iniziato in Europa alla metà degli anni sessanta del novecento. La sottolineatura implicita nello scritto dell’importanza degli aspetti teologici e di quelli ideologici che si sviluppano come sapere all’interno della società e che appaiono essere non semplicemente una sovrastruttura, ma una parte essenziale di quella cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica che è la merce, poneva su un piano diverso la lotta culturale ed ideale nella società rispetto al suo confinamento ad un piano di minore importanza rispetto a quella contro la struttura economica del capitale. Come era stato, nell’Europa tra la prima e la seconda guerra mondiale, con quello che venne chiamato il marxismo occidentale e che aveva trovato, oltre che in Lukàcs
[2], un esponente importante in Karl Korsch [3], così nel 1963 il lavoro di Karel Kosik del 1963 sulla Dialettica del concreto [4] riannodava le fila di un marxismo critico [5] che ha rappresentato per circa ottanta anni l’interesse della cultura e della filosofia marxiana per gli aspetti ideologici della società[6].
Marx in questo scritto rileva in primo luogo che quello dominato dalla merce è un mondo nel quale realtà e ideologia si sostituiscono l’una all’altra cosicché i prodotti del lavoro socialmente determinati scompaiono come tali per riapparire come rapporto sociale tra oggetti esistenti al di fuori di essi produttori[7]. Questo capovolgimento fa inoltre sì che per essere capito appieno è necessario addentrarsi nella regione nebulosa del mondo religioso Qui, continua Marx, i prodotti del cervello umano paiono figure indipendenti dotate di vita propria. Questi due aspetti, con la loro necessaria relazione, costituiscono per Marx ciò che io chiamo il feticismo che s’appiccica ai prodotti del lavoro appena vengono prodotti come merci, e che quindi è inseparabile dalla produzione delle merci [8]. Per Marx il mondo religioso confina con quello della follia se si intende con questo che vi è un’inversione tra l’umano concreto, per dirla alla Kosik, e la forma astratta dell’umano come appare nella religione e, appunto nella follia [9].
Commentando i personaggi dei Misteri di Parigi di Eugène Sue, Marx ed Engels scrivono, riferendosi al maître d’école, un delinquente che era forse stato un tempo un uomo di cultura, che Sue descrive perfettamente come, nell’educazione religiosa, il mondo sensibile diventa una semplice idea e le semplici idee si trasformano per contro in esseri sensibili [10]. Queste chimere divengono nel cervello esseri reali, palpabili. La realtà diviene immaginazione e l’immaginazione realtà: è questa la forma universale della follia. La coscienza cristiana del peccato rappresenta così la connessione tra la religione e la follia. Se si fa mente locale a quanto scrive Santa Teresa d’Avila[11], la connessione che Marx stabilisce appare perfetta; ma si vuole in questa sede sottolineare come egli delinei in forma generale un concetto di follia che difficilmente, prima facie, è contestabile [12] e come soprattutto in questo scritto ci venga mostrato un concetto di feticismo, che, in un modo che ritroviamo in Freud nel suo celebre lavoro del 1927 [13], ci mostra come, sotto ad uno strato più epidermico del sapere del feticista, si apra l’orrore di quanto lo sovverte entrando in un contrasto strutturale con esso.
Il carattere generale del feticcio è per Freud quello di occultare una realtà inaccettabile non attraverso una rimozione, come nelle nevrosi, ma neppure per mezzo di una scissione, come accade invece nelle psicosi. Nel feticismo l’Io rimuove energicamente una parte della realtà conservandola però altrettanto energicamente, ma sostituendo la sua immagine con un altro oggetto che non possa venire immediatamente riconosciuto nel suo significato dall’altro [14]. Il feticista non è un nevrotico: sa, ma non ne vuole sapere. Ciò che viene cancellato attraverso una sostituzione, nell’esperienza infantile, è che la madre non possiede il fallo e che non lo possiede perché le è stato reciso: la minaccia della castrazione incombe allora sul maschietto e l’averla subita sulla bambina ponendola intanto nel campo dell’isteria. Il feticcio ha la funzione di sostituire il fallo mancante e si pone come oggetto di adorazione, prova provata della sua (non) esistenza.
Ciò che della teoria freudiana ci aiuta per comprendere ancora più ampiamente la portata di quanto Marx ci dice nel Capitale, è che il feticcio deve coprire una scena che è eccessivamente angosciante e quindi è vitale che esso permanga nella mente affinché una riposante bugia nasconda quanto in realtà è terrificante. La riflessione sulle forme della vita umana, e quindi anche l’analisi scientifica di esse, prende una strada opposta allo svolgimento reale [15] , avverte Marx. Quelli che vengono chiamati fattori di produzione nell’economia politica capitalistica, cioè il lavoro, la tecnologia, l’organizzazione, appaiono come enti naturali, privi di storia, e rinvenibili già in questa forma nel mondo. Il mercato stesso appare nell’economia neoclassica come la condizione naturale che struttura la stessa esistenza dei soggetti come tali. Emilio Sereni, in un famoso studio, aveva spiegato come il mercato sia un risultato di un lavoro rivoluzionario nel quale gli oggetti prodotti per il consumo cominciano a trascendere questa loro qualità [16]; se si guarda alla teoria neoclassica questo risultato appare invece essere un punto di partenza. Marx mette in rilievo come nell’economia politica si cancellano tutte le differenze storiche e in tutte le forme di società vedono [gli economisti n.d.r.] la società borghese [17] . Nella cancellazione ritroviamo l’elemento fondante del feticismo nella lettura freudiana: ciò di cui non si vuole sapere, la castrazione, come atto simbolico che inserisce nel mondo, appunto dei simboli e del linguaggio. Nella psicoanalisi di impostazione kleiniana la castrazione corrisponde al superamento della posizione schizoparanoide e all’approdo al senso di responsabilità, la posizione depressiva/em>: sia nei termini marxiani che in quelli freudiani e kleiniani, il nascondimento di una realtà inaccettabile consente di conservare una mitologia che non richiede, e che, anzi, prende le distanze (il feticista sa, ma non ne vuole sapere) da ogni verifica di realtà.
Se, parlando dei problemi di oggigiorno, si ignorano le cause lontane delle migrazioni dall’Africa, il fenomeno migratorio appare il problema che va affrontato o con i muri e la repressione – tu esisti, ma io non voglio – o con gli aiuti allo sviluppo, il famoso “aiutiamoli a casa loro”, come se non fossero le fameliche borghesie che hanno preso il posto degli antichi colonizzatori, spesso con il loro esplicito supporto, ad aver divorato, dopo le razzie del colonialismo, le ricchezze dei loro paesi. I migranti, per quello che potremmo indicare come il feticismo corrente, non sono il risultato di crisi economiche, di predazioni, di guerre, ma masse che vengono in Europa attratte dal benessere e con l’intenzione di sostituirsi ai bravi cittadini europei prendendone il lavoro e lo stipendio. La storia, le guerre, gli effetti del colonialismo costituiscono l’orrore che deve essere cancellato e la legge, naturale ovviamente, della domanda e dell’offerta è il feticcio che deve nasconderlo.
Un’immagine illuminante di quanto, come dice Marx, l’analisi scientifica di esse [delle forme della vita umana] prenda una strada opposta allo svolgimento reale si ha seguendo i concetti esposti da Von Mises e dal suo allievo Von Hayek, i due maggiori esponenti di quella “scuola viennese” di economia che, con l’avvento al potere di Reagan negli USA e di Margaret Thatcher nel Regno Unito, ha avviato un radicale smantellamento dei principi, più vicini a quelli keynesiani, seguiti nel primo dopoguerra [18].
In un saggio pubblicato nel 1960 Von Mises sostiene che:
l’uomo agisce; persegue intenzionalmente i fini scelti. Questo è quello che abbiamo in mente quando affermiamo che l’uomo è una persona morale, responsabile della sua condotta [19]
L’uomo che hanno in mente gli economisti austriaci non è nemmeno l’homo oeconomicus di cui aveva parlato Marx e che è destinato ad apparire come un uomo nello stato di natura di Rousseau, che precede ogni costruzione economica e sociale, ma è l’uomo cha appare perfetto all’interno dell’elaborazione neoliberista per giustificare l’elaborazione stessa: un feticcio che si comporta esattamente come vuole il feticista. Se non si tratta più di un homo economicus, ancor meno l’uomo qui delineato è un cittadino o un membro di un gruppo sociale: la categoria nuova, quella del feticcio, è designata come consumatore. La società non esiste come tale, ma solo come somma di consumatori ed a questo deve adeguarsi la politica. Se un individuo vuole avere successo sul mercato deve soddisfare i consumatori; se vuole affermarsi nella vita politica deve soddisfare gli elettori [20].
Von Mises conferma pienamente quel che dice Marx (incidentalmente, è ovvio, giacché si può praticamente escludere che l’abbia mai letto, e tantomeno che abbia cercato di capirne alcunché) quando afferma che ciò che contraddistingue il capitalismo dai sistemi precapitalistici è il rivoluzionario principio di mercato…il capitalismo è produzione di massa finalizzata a soddisfare i bisogni delle masse [21].
Giorgio Lunghini, spiegando la differenza sostanziale tra l’economia classica e la scuola moderna o neoclassica, ci dice [22]:
mentre nell’economia classica l’oggetto dell’analisi erano i rapporti tra le classi sociali, l’oggetto elementare e il punto di partenza dell’analisi economica moderna è l’individuo con i suoi gusti e i suoi bisogni. L’homo oeconomicus, animato da un astratto desiderio di guadagno che sarebbe radicato nella natura umana, si muove in un campo di forze determinato dalle azioni degli altri individui e dai vincoli cui è soggetto, fino a quando il sistema non abbia raggiunto un equilibrio statico
Jacques Lacan e Wilfred Bion, trattando del feticismo, ci forniscono due concetti molto vividi che ci aiutano a cogliere alcuni aspetti della società contemporanea. Lacan ci dice, nella clinica lacaniana della perversione, che l’oggetto a prende il posto del desiderio e viene a situarsi non davanti al desiderio ma dietro. E’ quindi esso ad essere investito del desiderio e non il desiderio dell’Altro (di essere riconosciuto) [23]. L’oggetto che viene posto come sostituto del desiderio, la sua immediata materializzazione è proposta come sempre a disposizione, perfettamente raggiungibile quando lo si voglia: il feticista compra il feticcio, una scarpa, un paio di mutandine, esattamente come il consumatore compra la merce che lo renderà felice.
Nella clinica bionia [24]il feticcio è un oggetto adorato in quanto morto. L’adorazione rimedia al senso di colpa per aver voluto uccidere gli oggetti incomprensibili (gli oggetti β) che paiono stare dietro – e sono fissi – alla percezione. E’ il frutto di un attacco alla capacità di pensare e rappresenta la sostituzione di questa con un oggetto adorato. Per trasformare il feticcio nell’oggetto che da il godimento, il feticista deve uccidere simbolicamente tutto quanto, parendogli nemico, lo minaccia (la castrazione) e vive quindi in un mondo di oggetti inanimati, morti. Il consumatore, per essere tale, deve sopprimere ogni distanza e difficoltà – non casualmente la pubblicità ci offre oggetti di consumo che innanzitutto debbono essere facili da raggiungere – e deve quindi abbattere ogni parvenza di contrasto: l’insistenza dei politici sul nuovo, sulla rottamazione di quanto non lo è più, fornisce un appiglio non logico,bensì ideologico, per spingersi in un nuovismo che, solo per essere tale, è di per sé buono e progressivo. L’ultimo modello di smartphone, ad esempio, diviene un feticcio la cui adorazione certifica con sicurezza che l’orrore del passato, del meno nuovo, è stato doverosamente soppresso.
[1] Marx Karl Il Capitale Libro I, Editori Riuniti, Roma 1970, pagg.103 e segg.
[2] Il testo di Lukàcs che appariva portatore di una lettura diversa del marxismo era Storia e coscienza di classe Sugar, Milano 1970
[3] Korsch Karl Marxismo e filosofia Sugar, Milano 1970. Mario Spinella sottolinea, nella Introduzione agli scritti di Korsch, come la Terza Internazionale accomunò i testi di Korsch e di Lukàcs nell’accusa di revisionismo.Korsch Karl Marxismo e filosofia Sugar, Milano 1970. Mario Spinella sottolinea, nella Introduzione agli scritti di Korsch, come la Terza Internazionale accomunò i testi di Korsch e di Lukàcs nell’accusa di revisionismo.
[4] Karel K. Dialettica del concreto Mimesis, Milano 2014
[5] Solo in epoca più recente, nella ricostruzione del versante critico del pensiero marxista, sono stati presi in considerazione Gramsci e, in misura assai minore, Antonio Labriola. Per quanto riguarda il primo soprattutto, si veda Schinello Salvatore Tutta la nostra intelligenza. Il concetto di egemonia in Gramsci GOG, Roma 2017
[6] A dire il vero già Engels era intervenuto in una lettera a Bloch, negli anni novanta del XIX secolo, per ribadire che la struttura presiede all’intero funzionamento sociale solo in ultima istanza.
[7] Idem, pag.104
[8] Idem, pag.105
[9] Marx ci ha dato, in numerosi scritti, la sua immagine della religione e della sua funzione ideologica nella società. Luciano Parinetto li ha raccolti in un volume dal titolo Sulla religione , Sapere, Milano 1971
[10] Marx K., Engels F. La sacra famiglia Editori Riuniti, Roma 1969, pag.239
[11] Santa Teresa d’Avila Vita Rizzoli, Milano 2002
[12] Il concetto kleiniano di posizione schizoparanoide consiste nello stato di frammentazione degli oggetti e, nei casi più gravi, anche dell’Io che viene posta in essere come difesa primaria dall’angoscia di annientamento (Klein Melanie Note sui meccanismi schizoidi in “Scritti 921-1958” Boringhieri, Torino 1978
[13] Freud S. Feticismo in OSF vol.X, Boringhieri, Torino 1978
[14] Idem, pag.493
[15] Marx K. il Capitale, op. cit., pag.107
[16] Sereni E. Capitalismo e marcato nazionale in Italia Editori Riuniti, Roma 1966
[17] Marx K. Introduzione a “Per la critica dell’economia politica” in Marx K., Engels F. Opere scelte Editori Riuniti, Roma 1966, pag.736
[18] Per una più ampia discussione delle teorie sull’individuo, la libertà e lo Stato nella scuola viennese, si rinvia a Voltolin Adriano “L’inconscio senza regole. Von Hayek, Von Mises e la libertà di mercato” in Quaderni materialisti in corso di pubblicazione.
[19] Mises (von) Ludwig Libertà e proprietà Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2007, pag.41
[20] Idem, pag.44
[21] idem, pag.11
[22] Lunghini G. Conflitto crisi incertezza. La teoria economica dominante e le teorie alternative. Bollati Boringhieri, Torino 2012, pag.112
[23] Lacan Jacques Il seminario. Libro X. L’angoscia 1962-1963 Einaudi, Torino 2007, pag.110
[24] Bion W. R. Cogitations Armando, Roma 1992, pagg.142-143
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LAVORO,SUSSUNZIONE, SFRUTTAMENTO: L’ATTUALITA’ DI MARX PER CAPIRE IL PRESENTE
di Andrea Fumagalli[*]
Premessa
La principale potenzialità e la grande attualità di Marx sta nell’approccio metodologico. In particolare riguardo a due aspetti. Il primo deriva dalla constatazione che al centro dell’analisi marxiana sta il “soggetto essere umano”. L’analisi di Marx (ma non di tutto il marxismo) è un’analisi “umanista”. L’umanesimo” di Marx deriva dalla sua impostazione filosofica giovanile, che si condensa soprattutto nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, quando Marx inizia a delineare alcuni strumenti concettuali, quali alienazione e feticismo, che solo successivamente verranno declinati in chiave più economica. Anche dopo la “scoperta” dell’economia politica borghese grazie all’inchiesta di Engels sulla condizione sociale della classe operaia inglese e quindi lo sviluppo di una rigorosa analisi sul funzionamento dell’accumulazione capitalistica (i tre volumi de Il Capitale), il riferimento alla soggettività non viene comunque meno e ritorna prepotentemente nei Grundrisse. L’attualità di Marx sta nel fatto che ci ricorda che ogni economista, soprattutto oggi, dovrebbe avere una solida base filosofica e epistemologica. Purtroppo, oggi vige la regola opposta.
Il secondo elemento di potenza dell’analisi marxiana sta nel riconoscere che ogni analisi sociale ed economica è sempre un’analisi in divenire e quindi dinamica, esito di un processo dialettico in costante metamorfosi. L’approccio storicistico ci dice che la comprensione di una dinamica sociale può essere valida solo all’interno di un contesto storico e/o spaziale ben definito e delineato. Ciò che può valere oggi, non né detto che possa valere domani. Non esistono leggi immanenti nell’economia politica. L’attuale metafisica economica (imposta dal neo-liberismo) non ha senso.
Qui sta anche il limite non tanto di Marx (la cui analisi deve essere sempre valutata in relazione al suo tempo storico) ma di un certo marxismo, che possiamo definire “scientifico”, che ha l’ambizione di formulare un’analisi sociale (e di conseguenza l’individuazione dei processi della sua trasformazione) che tende a rimanere immutata nel tempo, tramite la definizione di concetti di base e di aggregati sociali definiti in modo di fatto “astorico”.
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1. Il tema del lavoro in Marx è assai complesso. Esso [il lavoro] “ non è la fonte di ogni ricchezza. La natura è la fonte dei valori d’uso (e in questi consiste la ricchezza beffettiva!) altrettanto quanto il lavoro, che esso stesso, è soltanto la manifestazione di una forza naturale, la forza-lavoro umana” scrive Marx nel primo paragrafo della Critica al Programma di Gotha (1875). E poi aggiunge che tale affermazione è vera nel momento stesso che c’è un equilibrio con la natura e contemporaneamente una differenza. Equilibrio che non è dato nel capitalismo, dal momento che il lavoro capitalistico non è che pura estrinsecazione (via sfruttamento) di forza-lavoro (ovvero capacità di produrre valore d’uso) finalizzata alla produzione di valori di scambio.
Trent’anni prima, nei Manoscritti storico-filosofici del’44, Marx aveva scritto:
“.. L’animale produce unicamente ciò che gli occorre immediatamente per sé o per i suoi nati; produce in modo unilaterale, mentre l’uomo produce in modo universale; produce solo sotto l’imperio del bisogno fisico immediato, mentre l’uomo produce anche libero dal bisogno fisico, e produce veramente soltanto quando è libero da esso; l’animale riproduce soltanto se stesso, mentre l’uomo riproduce l’intera natura; (…). L’animale costruisce soltanto secondo la natura e il bisogno della specie a cui appartiene, mentre l’uomo sa produrre secondo la misura di ogni specie e sa ovunque predisporre la misura inerente a quel determinato oggetto; quindi l’uomo costruisce anche secondo le leggi della bellezza”[1].
Marx quindi ritiene l’attività lavorativa “libera” come un fattore istituente la soggettività umana. A questo riguardo, credo che possa essere utile distinguere tra lavoro (nel senso capitalistico del termine: che produce valore di scambio: labor) con opera (attività che produce valore d’uso: opus).
Per dirla con il Marx de Il Capitale:
“Di fatto, il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità e dalla finalità esterna; si trova quindi per sua natura oltre la sfera della produzione materiale vera e propria”[2].
In ultima analisi, credo che per Marx il lavoro faccia parte della natura umana solo quando implica il superamento del lavoro determinato da una necessità che, per il singolo soggetto, si presenta come eteronoma ed etero-finalistica.
2. Nel capitalismo contemporaneo (che possiamo definire bio-cognitivo)[3], dove l’intera vita umana viene messa a valore, entriamo in una fase nuova del rapporto capitale-lavoro. In particolare due sono gli aspetti che occorre rilevare. Il primo ha a che fare con il fatto che tra elemento macchinino e elemento umano la separazione tende a svanire: la macchina diventa “umana” e l’essere umano “macchinico”. Il secondo aspetto, cruciale, è che in tale contesto si pone un problema di “misura”. In altri termini, come può essere misurata la vita messa a valore?
In questa analisi, gli strumenti analitici forgiati da Marx hanno ancora una potenza straordinaria. Faccio riferimento al concetto di “sussunzione” e come tale concetto possa essere utile per comprendere l’attuale fasi di valorizzazione e accumulazione. Come è noto, Marx distingue tra sussunzione formale e sussunzione reale. Quella formale implica che il capitale sottometta a sé, vale a dire includa nel rapporto sociale che lo definisce, modi di essere del lavoro umano che si sono costituiti prima e indipendentemente da esso, e che esso piega ai suo interessi senza modificarne il contenuto.
Diversamente, la sussunzione reale del lavoro al capitale rimanda alla determinazione del modo stesso di essere del lavoro da parte del rapporto sociale capitalistico che lo ingloba. Il capitale si appropria quindi, secondo Marx, non soltanto del prodotto del lavoro, ma anche della sostanza del lavoro, che viene così riplasmata. La produzione che ne nasce è dunque specificamente capitalistica, in quanto è il suo stesso contenuto lavorativo che è disciplinato dal capitale.
La mia ipotesi è che il capitalismo attuale sia caratterizzato dalla compresenza di sussunzione formale e sussunzione reale allo stesso tempo.
La sussunzione formale ha a che fare con la ridefinizione del rapporto tra lavoro produttivo e lavoro non produttivo, rendendo produttivo ciò che nel paradigma fordista era improduttivo.
La sussunzione reale ha a che fare con il rapporto tra lavoro vivo e morto, come conseguenza del passaggio da tecnologie meccaniche ripetitive a quelle linguistiche e relazionali. Le tecnologie statiche, alla base della crescita della produttività e dell’intensità delle prestazioni del lavoro (economie di scala dimensionali) si trasformano in tecnologie dinamiche in grado di sfruttare l’apprendimento e le economie di rete, combinando simultaneamente attività manuali e attività relazionali. Il risultato è stato l’aumento di nuove forme di lavoro più flessibili, in cui le fasi di progettazione e esecuzione (CAD-CAM-CAE) non sono più perfettamente separabili ma sempre più interdipendenti e complementari. Negli ultimi anni, l’organizzazione del lavoro è sempre più condizionata dall’uso di algoritmi, in grado di organizzare direttamente un’attività lavorativa, apparentemente caratterizzata da un alto grado di autonomia. Anche la separazione tra esecuzione e produzione di servizi diventa più difficile da analizzare. Diventano inseparabili all’interno della filiera di produzione. Per quanto riguarda la produzione materiale, l’introduzione di nuovi sistemi di produzione computerizzati, richiede competenze e conoscenze professionali che rendono il rapporto tra uomo e macchina sempre più inseparabile, al punto che ora è il lavoro vivo in grado di dominare il lavoro morto della macchina, ma dentro una nuova forma di organizzazione del lavoro e di governamentalità sociale. Dal lato della produzione dei servizi (finanziarizzazione, ricerca e sviluppo, comunicazione, marchio, marketing, servizi personali), stiamo assistendo a una predominanza della valorizzazione a valle, accompagnata da un ruolo crescente di nuove forme di automatizzazione (basate sugli algoritmi).
Ne consegue che, oggi, la sussunzione reale e la sussunzione formale sono due facce della stessa medaglia e si alimentano vicendevolmente. Insieme creano una nuova forma di sussunzione, che chiamo sussunzione vitale. Questa moderna forma di accumulazione capitalista evidenzia alcuni aspetti che sono alla base della crisi del capitalismo industriale. Ciò porta all’analisi di nuove fonti di valorizzazione (e di rendimenti crescenti) nel capitalismo bio-cognitivo.
Ne consegue che il tempo di lavoro certificato non può essere considerato l’unico tempo produttivo, con l’effetto che sorge un problema dell’unità di misura del valore. La teoria tradizionale del valore del lavoro deve essere rivista verso una nuova teoria del valore, in cui il concetto di lavoro è sempre più caratterizzato da “conoscenza”, “riproduzione sociale” ed è permeato dalla vita umana e dal tempo di vita. Possiamo chiamare questo passaggio come la transizione a una teoria del valore-vita, in cui il capitale fisso è l’essere umano “nel cui cervello risiede la conoscenza accumulata dalla società”[4].
Quando la vita diventa forza lavoro, il tempo di lavoro non viene misurato in unità standard (ore, giorni). La giornata lavorativa non ha limiti, se non quello naturale. Siamo in presenza di sussunzione formale ed estrazione del plusvalore assoluto. Quando la vita diventa forza-lavoro perché il cervello diventa macchina, o “capitale fisso e capitale variabile allo stesso tempo”, l’intensificazione della prestazione lavorativa raggiunge il suo massimo: siamo così anche in presenza di sussunzione reale ed estrazione del plusvalore relativo.
3. Marx non poteva prefigurare a 150 anni dalla scrittura de Il Capitale l’evoluzione della dinamica tecnologica, ma aveva intuito che la conoscenza avrebbe giocato un ruolo sempre più rilevante. Un’intuizione che Marx, unico pensatore del suo tempo, è in grado di declinare grazie all’analisi attenta e rigorosa della necessaria metamorfosi continua del rapporto capitale-lavoro, nel passaggio dal sistema manifatturiero al sistema fabbrica, dalla sussunzione formale alla sussunzione reale della grande impresa manchesteriana.
Nell’affresco del General Intellect, Marx non poteva cogliere nello specifico le forme di erogazione del lavoro vivo cognitivo.
Nell’attuale dinamica della vita messa a lavoro e quindi a valore, il valore ha origine in modo poliedrico e variegato. Siamo di fronte a una differenziata composizione tecnica del lavoro. Il capitalismo bio-cognitivo si basa, infatti, su una molteplice e variabile modalità di messa al lavoro della soggettività lavorativa – potremmo dire della vita. Le differenze creano valore. E sono differenze che permeano le esperienze soggettive degli individui, sino a prescindere dal genere, etnia e religione, a tal punto di essere loro stesse fonte di valore di scambio. Non importa chi tu sia, uomo, donna, transgender, Lgbt o che altro: tutti/e sono funzionali alla valorizzazione. E tale valorizzazione ha la fonte primigenia nella vita quotidiana.
Per questo, possiamo oggi affermare che il grado di sfruttamento è di gran lunga superiore a quello del passato.
[*] Bin-Italia (Bin-italia.org), Rete Effimera (effimera.org), Università di Pavia.
[1] Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, Torino, 2004, p. 75
[2] Karl Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, Roma, 1970 vol. III, sez. VII, cap. 48, p. 933
[3]Andrea Fumagalli, Economia politica del comune, DeriveApprodi, Roma, 2017
[4]K.Marx, Grundrisse, Penguin Books, 1973, p. 725
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DAL PLUSVALORE DI MARX AL PLUSGODERE DI LACAN
di Eva Gerace
Dobbiamo partire da una differenza: una volta ho sentito uno psicoanalista dire che il marxismo aveva fallito perché non si può pretendere che tutti siamo uguali, vestiti con la stessa divisa, ecc. e, aveva continuato affermando che il pensarci tutti uguali si può tollerare per un tempo, ma, dopo, “vince” il desiderio che sempre è particolare, quello di ognuno e non può essere uguale a quello degli altri. Questo commento ha suscitato in me la curiosità di leggere in che modo Lacan parla di Marx oppure lo cita. Riguardo a quel commento, possiamo dire che una questione è la divisione delle classi come dimensione sociologica, ma non possiamo neanche dimenticare che per Marx la classe operaria è un soggetto storico e politico; un’altra questione è il soggetto del desiderio.
In definitiva, sottolineerei la sollecitazione che viene a Lacan, più che dalla terminologia marxiana, dall’osservazione che Marx scopre la verità che è occultata nella teoria economica e pone in rilievo la materialità dei rapporti di produzione, dei rapporti sociali e financo personali. Lacan legge Marx con grandi intuizioni psicoanalitiche
Nel 1972 Lacan riprese Marx, tanto da poter pensare sia a un “ritorno” di Lacan a Freud, come disse lui stesso, sia di un “ritorno” a Marx, per prendere quello che gli necessitava per continuare ad avanzare in certe concettualizzazioni psicoanalitiche.
Nella psicoanalisi quando parliamo di soggetto stiamo nominando il soggetto del desiderio e riconosciamo nell’oggetto> la causa del desiderio.
Lacan nel Seminario Il rovescio della psicoanalisi[1], formalizza diversi “discorsi” per dimostrare i legami fra i soggetti, una struttura del legame sociale, gli elementi del linguaggio e il godimento.
I discorsi articolati da Lacan sono quattro e mostrano la posizione del soggetto nel discorso. È importante sottolineare allora, come questi modi dimostrino le diverse forme che i soggetti hanno per accedere al godimento.
Lacan tiene il Seminario XVII, Il rovescio della psicoanalisi, in corrispondenza di due eventi: il maggio del ’68 e i quarant’anni dal Disagio della civiltà[2] di Freud, che lo psicoanalista francese accomuna in una medesima riflessione. Per capire questo lavoro si deve considerare il momento storico nel quale s’inserisce. Egli dedica questo lavoro a un’analisi psicoanalitica risolutiva della questione del potere, e di come è sostenuto. Naturalmente, Lacan pensava di avere fra i suoi interlocutori gli studenti partecipanti alla rivolta.
Nel Seminario, Jacques Lacan delinea una nuova dimensione del godimento mettendolo in relazione ai mezzi di produzione e riprende il concetto di sapere inconscio (S2) come sede di un lavoro necessario per la produzione del plusgodere. Lacan definisce il plusgodere o più-di-godere, sul modello del plus-valore marxiano. Per Lacan l’inconscio è il lavoratore ideale, e dice di avere fatto un omaggio a Marx come inventore del sintomo. Nel Seminario XXII (RSI) sostiene anche che la nozione di sintomo non dobbiamo cercarla in Ippocrate bensì in Marx[3]! Infine afferma che il sintomo rappresenta il ritorno della verità come falla del sapere. Per molti, quanto sopra affermato darebbe un fondamento alla compatibilità tra Freud e Marx, anche perché per Marx il sintomo non si riduce al segno, ma è una disposizione della natura umana che soffre le conseguenze dei rapporti di produzione; vale a dire, la verità dello sfruttamento che l’ideologia vuole nascondere. Sappiamo con Freud che il lavoro del sintomo non si ferma con la sua apertura come verità, perché c’è anche un reale che lo impedisce: il granello di sabbia intorno al quale il mollusco forma la perla[4] (S. Freud. Frammento di un’analisi di un caso d’isteria. Il caso Dora).
Anche nel Seminario XVI[5], Lacan, parlando del plusgodere, evidenzia un’altra volta la questione del motto di spirito, riprendendo qui quello che aveva anticipato nel ’57-’58, nelle Formazioni dell’inconscio[6]. L’oggetto metonimico o rovine metonimiche dell’oggetto, sono l’antecedente dell’oggetto che attira il più di godere. Lacan dall’inizio del Seminario XVI, indica un’omologia tra il plusgodere; cioè l’oggetto causa del desiderio; con la nozione che Marx ha definito come plusvalore. L’oggetto a come plusgodere è preparato strutturalmente per essere il luogo della cattura del godimento. Così c’è una perdita, dare per perso ciò che è perso propizia la rinuncia al godimento del corpo e ciò porta alla divisione del soggetto e posiziona l’oggetto come un resto del soggetto barrato ($) soggetto diviso. Il soggetto è barrato ($) perché non è raffigurabile come un tutto, in quanto tale e anche se il soggetto all’interno del discorso, trova una definizione essa non è mai completa.
Adesso passiamo ai quattro discorsi che riprendono i principali tipi di legami sociale dove il soggetto è coinvolto:
1 – Il discorso del padrone (Discurso del Amo):
S1 è il significante padrone, nella posizione di dominio, il significante che fa la regola: si tratta del discorso del divieto e dell’interdizione e si sostiene come una regola universale.
Il discorso del padrone, anticipato da Lacan, è il discorso basilare che meglio riproduce la società di oggi. Sappiamo che Lacan crea un nesso con la dialettica servo-padrone di Hegel. Lacan ribadisce che il “sapere” del padrone sottrae al servo il suo sapere.
Nel discorso del padrone si tratta, dice Lacan: di far sì che il discorso del padrone sia un po’ meno primitivo, e per dirla tutta, un po’ meno coglione[7].
Jacques Lacan, a Milano[8], nel 1972 (due anni dopo il seminario) elaborerà anche il matema del discorso del capitalista, mostrandolo come somma di tutte le componenti della modernità. Il consumo degli oggetti è il modo di narcotizzare il soggetto sotto l’illusione insistente, senza uscita, di un godimento ingannevole giacché porta all’illusione di coprire ogni mancanza, sogno di un finto soggetto completo.
Discorso del capitalista
↓ $ x S2 ↓
S1 a
Discorso delle strutture del potere. Cosa propone il capitale? Le sue merci come sostitutivi degli oggetti di soddisfazione. Gli oggetti che promette il discorso capitalista sono l’illusione della felicità, della completezza, della soddisfazione totale. Queste promesse sono l’amo che tenta, ma sono anche illusioni che non si possono sostenere. In questi fallimenti, la psicoanalisi continua a vivere. Non possiamo non pensare che il liberismo insiste e promuove una cultura del godimento senza limite perché vuole eclissare il desiderio.
Marx, nella sua analisi rigorosa del capitalismo come regime di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ha anticipato quello che oggi sta succedendo.
2 – Il discorso dell’isterica (Discurso de la Histeria):
Nel posto dell’agente c’è il sintomo ed è lui che comanda. La psicoanalisi si serve di lui, utilizza il sintomo per metterlo a lavorare, lontano da qualsiasi lettura moralistica. Non si tratta di eliminarlo bensì di farlo parlare, farlo lavorare, che parli così tanto fino a tentare di sfiorare qualcosa del reale che dia la possibilità di ridistribuire il godimento. Possibilità al desiderio di emergere. La psicoanalisi non è rivoluzionaria, invece nella produzione di questo atto è sovversiva. Anche per questo, la psicoanalisi disturba il potere, poiché dà la possibilità al soggetto, offre gli istrumenti per poter pensare come non restare intrappolato in quello che la struttura del potere vuole. L’esperienza di un’analisi con il fatto stesso di parlare, dovrebbe produrre una divisione tra quello che si dice e quello che si voleva dire. Quello che si è detto poco fa, dopo è cambiato. La psicoanalisi non è conformista, quando funziona, produce cambiamenti.
In questo momento è bene ricordare quello che Lacan, nel 1953, scrisse in Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi:
Vi rinunci dunque piuttosto colui che non può raggiungere nel suo orizzonte la soggettività della sua epoca. Giacché come potrebbe fare del suo essere l’asse di tante vite colui che non sa nulla della dialettica che lo impegna con tali vite in un movimento simbolico? Che conosca bene le spire in cui la sua epoca lo trascina nell’opera continua di Babele e che sappia la sua funzione d’interprete nella discordia dei linguaggi[9].
Allora, se il sintomo parla, la società dei consumi, invece, vuole esseri muti. Il capitalismo, domina ogni aspetto della vita sociale, tende a manipolare anche la ricerca scientifica e le sue ricadute tecnologiche: nuovi oggetti per coprire qualsiasi domanda, per cancellare ogni sintomo, tutti loro offrono illimitate maniere di godimento. Tuttavia, non può riuscirci del tutto e nelle sue falle s’inserisce – fra gli altri – il discorso psicoanalitico. Se l’analisi promuove un movimento, stiamo parlando di togliere peso alle parole, significanti, che hanno segnato la propria storia, e così alleggerirsi delle identificazioni opprimenti, l’analisi riesce a prendere il carattere del non tutto della verità, ossia il suo carattere mutabile.
3 – Il discorso universitario (Discurso Universitario):
Nel discorso universitario o dell’università, l’agente è il sapere, più in specifico, il sapere della scienza. Nel posto della verità c’è un significante-padrone. Lacan nell’Inverso della psicoanalisi, lo mette in scena così: Continua. Avanti. Continua a sapere sempre di più[10]. Così possiamo capire che la verità del discorso dell’università non è un desiderio ma piuttosto un imperativo molto chiaro: Produci sempre più sapere! Lavora più! Non smettere di sapere! Detto per le scienze “dure”, ma, lo stesso Lacan lo riconosce, nelle scienze umane questo fa un po’ di confusione. Nel posto dell’altro colloca lo studente, Lacan nello stesso seminario dell’Inverso… lo definisce come astudé (a-studato) poiché come ogni lavoratore (…) ha da produrre qualcosa[11]. L’a-studato è lo dominato che è obbligato a produrre sapere, ma viene subito deglutito da un’università vorace con il suo imperativo: produci! Produci sapere… Perché questo produrrebbe disturbo a chi è in posizione di studente? Perché diventa uno strumento del sistema. Non sono molto lontani i tempi in cui lo studente poteva scegliere i suoi maestri, come organizzare il suo tempo e anche i libri. Nel luogo della verità c’è l’imperativo di continuare a produrre sempre più sapere. Da questa posizione la produzione è il disorientamento poiché non si produce il desiderio di sapere… basta seguire la formazione degli studenti oggi, lontani della scelta di libri, solo alcuni ben segnalati, e tantissime dispense, dove si limita quello che si “deve” e “come” si deve sapere… Vale più il voto, un mercato dove il sapere ha il suo prezzo, hai crediti! la quantità di materie date, la quantità di corsi fatti, impronta economica, impronta capitalista, così lontana dell’apertura al desiderio di sapere…
L‘epoca postmoderna è, in questo senso, l‘epoca dell‘impero del discorso del capitalista nel quale la macchina del godimento sostituisce la possibilità di instaurare la repressione. Le sue manovre sono indirizzate a nascondere l’angoscia e a tentare di scansare la castrazione.
4 – Il discorso dell’analista (Discurso del analista):
Nel discorso dell’analista la posizione dell’agente, cioè dell’analista, è abitata dall’oggetto a. Abitazione vuota, possibilità per l’analizzante di girare intorno al buco. Così, se l’analista non occupa un luogo di maestro di verità, egli propizia la caduta dell’illusione di un soggetto colmo. Spazio libero per attirare la verità possibile: quella del desiderio dell’analizzante.
Funzione di schermo, quella dell’analista. Dove l’analizzante possa ascoltare i suoi propri film, e l’analista deve chiedersi cosa fare con l’oggetto a, mestiere che s’impara nell’analisi personale. Incompleta verità scandita tra veli di poesia.
Ciò evita il discorso padrone, capitalista, dentro il dispositivo analitico. Non si tratta di una contestazione speculare, origine della violenza, dove si torna sempre nella stessa posizione.
La psicoanalisi “serve” anche per fermare il discorso ordoliberista? Chi può fermarli? Vediamo solo se la psicoanalisi, con il suo discorso del non-tutto, con un dispositivo che gira intorno ai buchi, possa aiutare il soggetto a emergere e a non compattarsi nell’ideale di un discorso padrone che offre “soluzioni” immediate e ingannevoli di godimenti senza limiti. Se sappiamo che nel lavoro particolare dell’analisi c’è un cambio di linguaggio, è questo quello che può propiziare un cambio sociale. Siamo sommersi nell’Altro del linguaggio, direbbe Lacan, allora è facile capirlo come un ordinatore culturale. E ribadisco un concetto detto più sopra: con la psicoanalisi, non produciamo una rivoluzione ma una sovversione. Il soggetto sovverte la sua posizione, rispetto al suo godimento. Allora il plus-di-godere si struttura come un plusvalore. Lacan stabilisce il più-di-godere sull’assioma del plus-valore di Marx e abbiamo già un antecedente in Freud, sul guadagno di piacere: Lustgewinn.
Cosa dice Freud in Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio[12]? Che al ridursi delle inibizioni c’è una liberazione della tensione psichica e si conferma che questo senso di piacere che si ottiene non può provenire né dal contenuto né dalla tendenza, ma piuttosto dal suo lavoro. Anche in questo caso, Freud scopre che sono attive le tecniche di condensazione e spostamento, analoghe al lavoro onirico.
Nella sua Traumdeutung[13] Freud spiega questo lavoro onirico. È un compito che svolge il sistema intrapsichico, dove il contenuto latente di un sogno diventa un contenuto manifesto. E, compiuto il lavoro di interpretazione, ci accorgiamo che il sogno è la soddisfazione di un desiderio. Per continuare sull’interesse di Freud per la produzione di piacere, Lacan, in Le Formazioni dell’Inconscio[14], scrisse – a proposito del motto di spirito – che il valore della merce nella teoria marxista, come plus è una metonima. Questo senso metonimico lo possiamo anche capire nel gioco del fort-da. Freud ci ha dimostrato che il gioco del nipotino “simbolizza” la madre: “non c’è”, ma che lui decide quando se ne va e quando la fa ritornare. È una fonte di piacere che ci riporta alla conquista del linguaggio. Il significante ci conquista.
Allora, se abbiamo letto in Freud, che cosa sia il guadagno di piacere, il Lustgewinn, esso ci dice che questo si ottiene dal motto di spirito e lo capiamo nel momento in cui qualcuno scoppia in una risata. Successivamente abbiamo visto come questo eccesso è considerato da Lacan non solo un problema economico, ma addirittura di economia politica; per questo lo paragona al plusvalore di Marx. Ma, andiamo passo a passo: quando Lacan parla di economia politica sta parlando di discorsi. Cosa vuol dire? Perché abbiamo parlato dei quattro discorsi? Perché è il modo in cui il godimento si serve per circolare dentro questo sistema simbolico, vale a dire, la struttura stessa del discorso. È l’oggetto a, con la sua funzione di più godere, quello che dà la possibilità al soggetto di situarsi come soggetto di un discorso. Allora, il concetto di produzione ch’è associato al lavoro, comprende il mutamento di una materia prima, cioè il corpo. Quale sarebbero i mezzi di produzione? Sono gli oggetti che sostengono il godimento.
Lacan nel suo em>Seminario Il Sinthome[15] enuncia: quello che sostengo con il sinthome (…) è che esso si produce nello stesso posto dove erra il nodo. É difficile non vedere che il lapsus è sopra quello che sta in parte nella nozione dell’inconscio. Lo è anche il motto di spirito, che non è impensabile… che risulti da un lapsus. Anche il proprio Freud l’articola in questo modo quando afferma che si tratta di un cortocircuito, cioè di una economia riguardo al piacere, di una soddisfazione.
Anteriormente, Lacan aveva parlato di godimento e nel Seminario VII[16] lo aveva circoscritto alla pulsione, traducendo il concetto di piacere di Freud. Questo anticipa già come il piacere di desiderare è governato dalla logica del significante – lo scrive in Al di là del principio di piacere[17] – dove descrive come il significante lo produce da sé stesso seguendo le legge del processo primario, quello che considera come guadagno finale del piacere. Nel seminario sulla Logica del fantasma[18], Lacan riprende Marx e ci dice che l’oggetto dell’uomo non è altro che la sua essenza presa come oggetto. Se continuiamo con quello che ha detto si può capire dal suo insegnamento – e quando parla agli psicoanalisti – che ci dobbiamo rendere conto che quello che dell’atto sessuale produce dilemmi viene dal fatto che nell’inconscio qualcosa funziona come valore di scambio ed è per questa strada di falsa identificazione con il valore d’uso che si nasconde l’oggetto merce. Prosegue dicendo che possiamo nominare quello che ha luogo qui di valore di scambio, cioè, il valore di godimento.
Abbiamo anticipato che potrebbe pensarsi un possibile progresso: l’uomo potrebbe realizzarlo con un cambio nel linguaggio, perché sappiamo che questo ci fa agire nel rapporto che abbiamo con l’oggetto. Lacan ha detto che questo stesso quesito si era posto Marx quando si domandò che cosa avviene quando gli oggetti umani passano da un valore d’uso a merce.
Cosa vuol dire questo e quella falsa identificazione? Devo fare un giro per l’antropologia.
Lévi-Strauss nel suo lavoro: Le strutture elementari della parentela[19], ci dà la possibilità di pensare due questioni presentate in questo lavoro, il linguaggio e lo scambio. Questo autore colloca nella proibizione dell’incesto e nell’esogamia le forme universali che portano dallo stato “natura” verso una società umana organizzata. Scrive che la proibizione dell’incesto è il passo fondamentale grazie al quale, per il quale, e soprattutto nel quale, si compie il passaggio dalla natura alla cultura. In un certo senso essa appartiene alla natura, giacché costituisce una condizione generale della cultura: di conseguenza non bisogna meravigliarsi che essa ritenga dalla natura il suo carattere formale, ossia l’universalità. Ma in un certo altro senso essa è già la cultura che agisce e impone la propria regola in seno a fenomeni che inizialmente non dipendono da lei, e questa viene stabilita soltanto per garantire e fondare, direttamente o indirettamente, immediatamente o mediatamente, uno scambio. Egli continua affermando che i diversi ordini di parentela e regole matrimoniali rappresentano altrettante maniere di assicurare la circolazione delle donne >in seno al gruppo sociale, cioè di sostituire un sistema di relazioni consanguinee, di origine biologica, con un sistema sociologico di acquisizione di parentela. Allora le donne arriveranno a essere scambiate, con altri gruppi, come se queste fossero dei beni di commercio.
Il rapporto fra un uomo e una donna riassume in sé quello fra altri uomini e altre donne: La proibizione dell’incesto non è tanto una regola che vieta di sposare la madre, la sorella o la figlia, quanto invece una regola che obbliga a dare ad altri la madre, la sorella o la figlia. Le regole della parentela e del matrimonio ci sono apparse come tali da esaurire, nella varietà delle loro modalità storiche e geografiche, tutti i possibili modi di assicurare l’integrazione delle famiglie biologiche nel seno del gruppo sociale. Abbiamo così constatato che numerose regole, in apparenza assai complicate ed arbitrarie, possono ridursi a pochissime […] Al limite, tutto l’imponente apparato delle prescrizioni e delle proibizioni potrebbe essere ricostruito a priori in funzione di una sola domanda: qual è, nella società in causa, il rapporto tra la regola di residenza e la regola di filiazione?
E, qui l’altro punto, ci dimostra Lévi-Strauss come queste strutture della parentela si possono analizzare come un linguaggio, all’essere un sistema simbolico: un insieme di operazioni destinate ad assicurare, tra gli individui e i gruppi, un certo tipo di comunicazione (…) Strutture della parentela vuol dire che in tutte le comunità umane le regole del matrimonio, la nomenclatura, e il sistema dei privilegi e delle interdizioni, sono aspetti indissociabili di una stessa realtà sottesa, la struttura del sistema considerato, che ne determina il funzionamento. La realtà di un sistema umano è la sua struttura e questa struttura è di ordine simbolico.
L’importante studio di Lévi- Strauss ci mostra un vigoroso legame che esiste tra la struttura del linguaggio e la struttura dei rapporti sociali. Gli elementi della linguistica e le strutture della parentela, formano una rete e funzionano inconsciamente ubbidendo leggi che riversano sulle società. Perché ci serve questo studio? Perché ci serve capire questa falsa identificazione? Questo saggio ci dice che quelle che circolano sono le donne, allora, nelle organizzazioni delle società umane, è nel posto della donna dove si concretizza quella falsa identificazione che produce il valore di scambio. Cosa vuol dire questo? Sappiamo che quello che circola è il fallo, e se ciò succede è perché la donna lo rappresenta. Per dirlo con i concetti di questo lavoro, la donna sostiene il posto di quel valore di godimento sottratto al valore d’uso, sotto la forma dell’oggetto di godimento. Marx, nel Capitale[20] (Critica dell’economia politica. Libro primo) ci dice che i valori d’uso vengono prodotti soltanto perché essi sono sostrato materiale, depositari del valore di scambio. Per divenire merce il prodotto deve essere trasmesso all’altro, a cui serve come valore d’uso, mediante lo scambio (Appunto che appare nella quarta edizione).
Nell’articolo Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi[21], Lacan ricorda una considerazione di Marx sul surplus che rompe una situazione di equilibrio. Lo psicoanalista s’immagina il momento in cui si produce uno scambio di doni tra Danai e Argonauti: è con questi doni [che offrono i Danai] o con le parole d’ordine che gli accordano il loro salutare nonsenso, che comincia il linguaggio con la legge? Giacché questi doni sono già simboli, in quanto simbolo vuol dire patto, ed essi sono in primo luogo significanti del patto che costituiscono come significato: come si vede bene dal fatto che gli oggetti dello scambio simbolico, vasi fatti per essere vuoti, scudi troppo pesanti per essere portati, covoni che si seccheranno, picche che si affondano nel terreno, sono senza uso per destinazione, se non superflui per la loro abbondanza. In questo paragrafo dove gli oggetti sono senza uso per destinazione se non superflui per la loro abbondanza, entrano in gioco, in uno scambio simbolico, come segue, indicano che ci sono scudi che sono troppo grandi per essere trasportati (…) picche che affondano nel terreno, spighe che si seccheranno, vasi fatti per essere vuoti. Lacan sembra indicare che c’è uno spazio, un buco, questi oggetti s’iscrivono in un registro Altro. Cosa è successo a questi oggetti? In un determinato momento diventano troppo grandi, troppo pesanti, si seccano, sono vuoti. È il modo di Lacan per dire come diventano significante. Già non possono fare Uno. È passando da un significante a un altro significante, che si crea quello spazio vuoto tra il S1 e il S2. Un soggetto diviso ($) che si domanda cosa fare con questo scudo troppo pesante per essere trasportato? Senza un uso prefissato? Fatti per essere vuoti…
Lacan, riecheggiando Marx, paragona il passaggio dalla intera riproduzione per la sopravvivenza nelle società precapitalistiche primitive all’ingresso del plusvalore. In questo movimento si è creato un significante. Allora, sintomo e desiderio avvicinano questi due pensatori: si potrebbe sostenere che fra loro vi è un punto d’incontro in questa epoca di produzioni capitalistiche. Marx e Lacan, la filosofia del materialismo dialettico e la psicoanalisi hanno strumenti validi per ri-iniziare un dialogo che sia produttivo alla soggettività dell’epoca.
[1] Lacan, J. El Seminario. Libro XVII, El reverso del psicoanálisis, Buenos Aires, Paidós, 1992.
[2] Freud, S. Il Disagio della civiltà (El malestar en la cultura), Avellaneda, Amorrortu editores,1992.
[3] Lacan, J. El Seminario XXII, RSI, Versione Critica. Ricardo Rodríguez Ponte per circolazione interna della EFBA.
[4] Freud, S. Fragmentos de análisis de un caso de histeria, Vol. VII, 1ª ed. Buenos Aires: Amorrortu, 1978.
[5] Lacan, J. El Seminario XVI. De un Otro al otro, Buenos Aires, Paidós, 2008.
[6] Lacan, J. El Seminario V. Las formaciones del inconsciente, Quilmes, Paidós, 1999.
[7] Lacan, J. Lacan in Italia. En Italie Lacan, La Salamandra, Milano 1978.
[8] Lacan, J. In Italia. http://www.praxislacaniana.it/wordpress/download/lacan_in_italia.pdf o, Lacan in Italia. En Italie Lacan, La Salamandra, Milano 1978.
[9] Lacan, J. Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi, Scritti I, Torino, Einaudi, 2002.
[10] Lacan, J., El Seminario XVII, El reverso del Psicoanálisis, Barcelona, Paidós, 1992.
[11] Lacan, J. Op. Cit.
[12] Freud, S. Tomo VIII. El chiste y su relación con lo inconsciente, Buenos Aires, Amorrortu, 1979.
[13] Freud, S. Tomo III. La interpretación de los sueños, Buenos Aires, Amorrortu, 1979.
[14] Lacan, J. Op. cit.
[15] Lacan, J. El Seminario XXIII, El Sinthome, Per circolazione interna della EFBA, Ricardo E. Rodríguez Ponte, 1989.
[16] Lacan, J. El Seminario VII, La ética del psicoanálisis, Buenos Aires, Paidós, 1988.
[17] Freud, S. Tomo XVIII. Más allá del principio del placer, Buenos Aires, Amorrortu, 1979.
[18] Lacan, J. El Seminario XIV, La lógica del fantasma, Circolazione interna della EFBA, Ricardo Rodríguez Ponte, 2009.
[19] Lévi-Strauss C., Las estructuras elementales del parentesco, Barcelona, Editorial Paidós, 1969.
[20] Marx, K. Il Capitale. Critica dell’economia politica, 1867. Roma, Avanzini e Torraca, 1966.
[21] Lacan, J. Op. Cit.
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MARX E LA POLITICA
di Franco Romanò
Il recente film Il giovane Marx ha posto l’attenzione, fra l’altro, su un periodo cruciale della storia europea, che gli storici e anche i programmi scolastici definiscono come Restaurazione. Secondo Mario De Micheli, invece, i trent’anni successivi al Congresso di Vienna[1]vanno visti come il tempo in cui si diffondono in tutta Europa gli ideali rivoluzionari che prepareranno il ’48, sia da un punto di vista politico, sia artistico e culturale. Dentro questa temperie, si colloca anche il lavoro del giovane Marx e quello di Engels sulla classe operaia inglese. Il culmine di questo periodo, durante il quale nasce anche la loro profonda amicizia, sarà, nel ’47, la stesura del Manifesto del partito comunista, che sarà pubblicato nel 1848 qualche mese prima dello scoppio dei movimenti rivoluzionari in tutta Europa; un evento che Marx ed Engels avevano previsto. Qual è e come cambia nel tempo il loro rapporto con la politica, tema di questo scritto?
Occorre prima di tutto considerare un problema preliminare e cioè che noi vediamo il rapporto con la politica da post bolscevichi e post socialisti. Uso l’espressione in senso ampio e non la riferisco solo a chi è stato comunista o socialista o che lo è ancora, perché i partiti socialisti e poi Lenin e i bolscevichi non hanno creato solo i loro organismi politici, ma hanno inventato il partito politico moderno novecentesco, un modello che è stato seguito più o meno da tutti, con qualche distinguo per quelli inglesi e una più ampia differenziazione per quelli statunitensi. Può sembrare a prima vista sorprendente tale affermazione, ma se storicizziamo alcuni passaggi, il quadro che ne esce apparirà forse meno sorprendente. Risaliamo allora al periodo successivo alla Comune di Parigi e poi, specialmente, al 1902, quando Lenin scrive Che fare. In esso vengono formulati alcuni principi basilari che non sto a ricordare per intero; mi limito solo alla formula sintetica che ha attinenza con questo scritto: un partito di rivoluzionari di professione. L’enfasi di tutti, sia di chi accolse quella formula con entusiasmo, sia di chi ne ebbe paura o la rifiutò (anche fra i socialisti che avevano dato vita ai loro partiti nell’ultimo decennio del diciannovesimo secolo), perché politicamente schierato sul versante opposto, cadde sulla parola rivoluzionari, ma la seconda parte della formula leninista – di professione – è quella più importante e storicamente decisiva. Per la prima volta veniva formulato il concetto che l’attività politica è una professione e che il partito politico diventava perciò un organismo che cessava di essere qualcosa di empirico, che manteneva con i movimenti sociali un rapporto flessibile e adattivo, come fra vasi comunicanti, ma diventava un organismo dotato di vita propria, tendenzialmente permanente, costituito da politici e funzionari, la cui vita, anche lavorativa, dipendeva, se non sempre esclusivamente, da quello. Tutti i partiti novecenteschi si sono ispirati in modo più o meno flessibile a tale modello, aldilà di alcuni distinguo privi d’importanza e di altri più significativi ma che si presentavano come modifiche, a volte rilevanti, ma sempre interne al modello.[2]
Mi rendo conto che una semplice nota non basta a risolvere tutte le problematiche che un discorso come questo può suscitare, ma tale premessa è necessaria per dire che il rapporto di Marx e di Engels con la politica, era così tanto strutturalmente diverso dal nostro, che se vogliamo ripercorrere il loro percorso, dobbiamo sgombrare completamente il campo dalle concezioni correnti e anche dal dibattito attuale sulla deriva dei partiti e della democrazia rappresentativa.[3]
Visto a partire da questa angolazione, il rapporto di Marx ed Engels con la politica, fatte salve le differenze caratteriali fra i due che andranno tuttavia considerate, si sviluppò nel tempo in tre fasi diverse. Durante la prima, quella che si svolge proprio nel periodo cruciale post Congresso di Vienna e che culmina con la pubblicazione del Manifesto, tale rapporto è empirico e adattivo, fondato sulla necessità di distinguersi dalle altre correnti interne al movimento operaio, ma tenendo sempre presente che molte scelte si definivano momento per momento e cambiavano dentro un rapporto strettissimo fra una prassi di movimento e più teorie in formazione. La preoccupazione fondamentale di Marx ed Engels fino alla pubblicazione del Manifesto, inoltre, fu l’individuazione del soggetto rivoluzionario, la classe operaia, senza il quale nessuna politica era per loro concepibile: siamo lontanissimi da un concetto – seppur vago – di autonomia della politica, ma molto prossimi a un’idea che riassumo in questa formula: la politica o è rivoluzionaria o non è. C’è poi un secondo aspetto che appartiene a questa prima fase e che passerà anche alle altre due: lo definirei di tipo analitico e cioè una straordinaria capacità di leggere e prevedere le mosse politiche di stati e aggregazioni politiche estemporanee. Oggi la definiremmo una capacità geopolitica e anche una forma nuova per l’epoca, di critica radicale e spesso irridente dello stato di cose presenti. Mi riferisco in particolare alla raccolta di articoli pubblicati sulla Gazzetta renana che diventeranno un libro (Le lotte di classe in Francia), pubblicato nel ’49 ma appartenente a pieno titolo alla prima fase.
La seconda fase possiamo collocarla entro l’arco temporale che dal ’48 arriva fino al ’71 e cioè alla Comune di Parigi. Il periodo è contrassegnato da un’intensa attività di studio e agitazione politica: quest’ultima culmina nella fondazione della Prima Internazionale. Cambia in questa fase il rapporto di Marx e di Engels con la politica? Molto meno di quanto non si creda e specialmente non si stabilì fra loro una sorta di divisone dei compiti: la parte politica delegata a Engels e a Marx lo studio. Tale idea si consoliderà nel tempo, tanto che a Engels verrà attribuita la definizione di demiurgo; ma è in larga parte basata su un equivoco, la confusione fra le loro differenze caratteriali e la realtà delle azioni concrete compiute. Marx era insofferente e collerico e a volte caricava a testa bassa; inoltre era un campione della diffidenza e si può certo dire che diffidasse anche della politica. Engels e Jenny von Westphalen erano i soli che riuscivano a farlo ragionare pacatamente quando esagerava, ma sapevano entrambi che aveva spesso ragione lui. Quando però non aveva ragione, Engels era fermissimo nel contrastarlo, come avvenne per esempio con la stesura del Manifesto del Partito Comunista, che forse senza la fermezza di Engels sarebbe uscito chissà quando. Engels, rispetto a Marx, aveva un talento organizzativo e anche una visione del lavoro strutturato che gli derivava dalla sua formazione nell’industria di famiglia, verso la quale era insofferente fino all’aperta ribellione, ma che tuttavia ebbe una parte decisiva nel suo modo di lavorare e operare, mentre Marx aveva un atteggiamento più romantico nel modo di condurre la propria vita. Tuttavia, Marx sapeva anche ascoltare (Friederich e Jenny, gli altri un po’ meno) e i passaggi politici importanti della seconda fase e cioè la Fondazione della Prima Internazionale nel 1864 fu una scelta militante pienamente condivisa: Marx fu l’estensore del documento programmatico e dello statuto. La Prima Internazionale aveva di certo un’organizzazione più strutturata e meno flessibile, compreso un apparato di funzionari, ma siamo sempre molto lontani dalla concezione del partito moderno che si affermerà prima nei partiti socialisti e poi in modo definitivo con Lenin. Oltretutto, la Prima Internazionale si pose come un organismo fortemente centralizzato solo per ragioni di necessità che furono però presto abbandonate, anche prima del suo scioglimento nel 1876. La necessità di centralizzazione era dovuta al fatto che in certe nazioni esistevano solo sparute rappresentanze, a volte anarchiche, a volte blanquiste a volte socialiste, a volte comuniste: il processo di centralizzazione, che non ha nulla a che vedere con il centralismo come lo intendiamo a seguito dell’esperienza bolscevica, fu il passo necessario per poi liberare le energie in ciascuna nazione europea una volta che si era creata una massa critica di militanti in ogni paese. Tuttavia, siamo sempre dentro un processo adattivo e flessibile, e paradossalmente lo sarà ancora di più La Seconda Internazionale che non fu altro, infondo, che un organismo federale, più che centralizzato, fra i diversi partiti socialisti. Questa seconda fase finisce nella tragedia della Comune di Parigi.
Il terzo periodo è quello successivo alla Comune, che inizia con quel magnifico testo che è La guerra civile in Francia, che ripropone la straordinaria capacità di lettura degli eventi che si era già vista all’opera negli articoli del ’48 e ’49, ma con una maggiore capacità analitica. A questo testo affiancherei un altro meno noto ma assai rilevante, ripreso recentemente da Sbilanciamoci e di cui allego il link: si tratta dell’intervista rilasciata da Marx a Landor, corrispondente del World, il 3 luglio 1871 A Londra. Soltanto un paio di mesi prima, la Comune di Parigi, era stata soffocata nel sangue. L’intervista fu ripubblicata nel 1997 su www.internazionale.it, ma la trovate anche sul blog www.2011oraequi.blogspot.com
La riflessione sulla Comune di Parigi è, nella vulgata marxista successiva, l’asse portante per dimostrare che il concetto di dittatura del proletariato è centrale nel pensiero di Marx. Se si guarda però all’insieme di questi scritti è facile notare come l’accento sia per intero spostato sulla valorizzazione degli aspetti propositivi e positivi della Comune e di rottura rispetto alle rivoluzioni precedenti: l’espressione dittatura del proletariato non trova spazio nei quattro capitoli de La guerra civile in Francia. Il terzo capitolo, in particolare, è vistosamente orientato in senso propositivo: ne cito alcuni passaggi:
La Comune fu composta dai consiglieri municipali eletti a suffragio universale nei diversi mandamenti di Parigi, responsabili e revocabili in qualunque momento. La maggioranza dei suoi membri erano naturalmente operai, o rappresentanti riconosciuti dalla classe operaia. La Comune doveva essere non un organismo parlamentare, ma di lavoro, esecutivo e legislativo allo stesso tempo. Invece di continuare a essere l’agente del governo centrale, la polizia fu immediatamente spogliata delle sue attribuzioni politiche e trasformata in strumento responsabile della Comune, revocabile in qualunque momento. Lo stesso venne fatto per i funzionari di tutte le altre branche dell’amministrazione. Dai membri della Comune in giù, il servizio pubblico doveva essere compiuto per salari da operai. I diritti acquisiti e le indennità di rappresentanza degli alti dignitari dello stato scomparvero insieme con i dignitari stessi. Le cariche pubbliche cessarono di essere proprietà privata delle creature del governo centrale. Non solo l’amministrazione municipale, ma tutte le iniziative già prese dallo stato passarono nelle mani della Comune… Sbarazzarsi dell’esercito permanente e della polizia, elementi della forza materiale del vecchio governo, la Comune si preoccupò di spezzare la forza della repressione spirituale, il “potere dei preti”, sciogliendo ed espropriando tutte le chiese in quanto enti possidenti. I sacerdoti furono restituiti alla quiete della vita privata, per vivere delle elemosine dei fedeli, ad imitazione dei loro predecessori, gli apostoli. Tutti gli istituti di istruzione furono aperti gratuitamente al popolo e liberati in pari tempo da ogni ingerenza della chiesa e dello stato. Così non solo l’istruzione fu resa accessibile a tutti, ma la scienza stessa fu liberata dalle catene che le avevano imposto i pregiudizi di classe e la forza del governo. I funzionari giudiziari furono spogliati di quella sedicente indipendenza che non era servita ad altro che a mascherare la loro abietta soggezione a tutti i governi che si erano succeduti, ai quali avevano, di volta in volta, giurato fedeltà, per violare in seguito il loro giuramento. I magistrati e i giudici dovevano essere elettivi, responsabili e revocabili come tutti gli altri pubblici funzionari…
La Comune fece di un operaio tedesco il suo ministro del lavoro[3b].
Ciò che qui viene sottolineato come decisivo non è tanto l’essersi impadroniti del potere statuale, ma di averne smantellate le prerogative in quanto istituto separato e di averne ricondotte le funzioni principali all’interno di una società civile capace di autogestirsi: questo fra l’altro è il senso dell’espressione estinzione dello stato e anche la ragione profonda dell’opposizione all’espressione anarchica abolizione dello stato.
Di dittatura del proletariato, Marx parlò per la prima volta nel ’48, ma solo come descrizione di quello che era avvenuto durante le insurrezioni:
«Al posto delle sue rivendicazioni [si riferisce al proletariato n.d.r], esagerate nella forma, nel contenuto meschine e persino ancora borghesi, e che esso voleva strappare come concessioni alla repubblica di febbraio, subentrò l’ardita parola di lotta rivoluzionaria: Abbattimento della borghesia! Dittatura della classe operaia![4]
Marx ed Engels ne scrivono poi vagamente nel Manifesto (nel senso che alcune frasi possono essere interpretate come un abbozzo del concetto), che viene espresso più chiaramente per la prima volta nel 1852, nella lettera a Weydemeyer e poi nel 1875, in Critica del Programma di Gotha, su cui bisogna fare una premessa e cioè che si tratta di un testo fatto di brevi note, chiose e frammenti che non possono costituire di certo una riflessione organica. Il brano, in cui il concetto viene espresso in modo più articolato è il seguente:
…Si domanda quindi: quale trasformazione subirà lo stato in una società comunista? … Tra la società capitalistica e la società comunista vi è il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell’una nell’altra. Ad esso corrisponde anche un periodo politico transitorio, il cui stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato. [5]
Subito dopo, tuttavia, si precisa che il programma del partito non si occupa di questo, non elabora minimamente tale concetto e, continuando nell’analisi, Marx fa alcuni esempi che si riferiscono per esempio alla Svizzera, dai quali si può capire ancor meglio che l’estinzione dello stato di cui parlerà più diffusamente Engels nelle introduzioni successive al testo, dopo la morte di Marx, si riferisce proprio alla riappropriazione da parte della società civile di prerogative statali. L’esempio della Svizzera è quanto mai calzate: nella confederazione, infatti, anche oggi, tutti i cittadini devono svolgere in alcuni momenti della loro vita finzioni statuali: ma nell’adempierle non cessano di essere il maestro elementare, piuttosto che il macellaio del paese. In sostanza non costituiscono un organismo separato, se non agli altissimi libelli della gestione del potere.
Il concetto di dittatura del proletariato fu elaborato per la prima volta in modo esteso e razionale e poi tradotto in un programma politico da Lenin, sintetizzando in una forma nuova e originale singole affermazioni di Marx e di Engels, ma anche attingendo a fonti diverse, quasi sempre trascurate, che affondano le loro radici nella cultura russa.[6]
L’esigenza di stabilire una ferrea continuità fra il pensiero di Marx e di Engels e il suo, comprensibile in Lenin nel momento della battaglia politica contro la Seconda Internazionale che – non dimentichiamolo – aveva avallato la scelta di concedere i crediti di guerra ai loro stati da parte dei partiti socialisti, con la sola eccezione di quello italiano, diventò solo un’esigenza iconico/propagandistica nelle vulgate successive, tutte volte a sopprimere ogni critica; riproposta oggi assume aspetti farseschi.
MARX, ENGELS, LA POLITICA E NOI
Pur breve, questo scritto non vuole racchiudersi dentro una semplice ricostruzione storica, ma proprio in omaggio all’insegnamento forse più importante di Marx e cioè la necessità di connettere sempre prassi (che è anche prassi culturale) e teoria, non avrebbe senso evitare di domandarsi cosa possiamo dire sul nostro oggi ripensando alla loro esperienza. Prima di tutto, che ogni discorso politico che prescinda dall’individuazione del soggetto o dei soggetti sociali che possono rendere concreto il discorso, è un esercizio sostanzialmente astratto: bisogna avere il coraggio di dire che il dogma dell’autonomia della politica, sia che lo si faccia derivare da Machiavelli, sia da letture molto parziali che Gramsci fa del medesimo, è la scorciatoia che ha fatto annegare, per esempio il PCI, nel cinismo della tattica. Nelle mani dei nipotini di Gramsci e Togliatti, l’autonomia della politica è diventata la foglia di fico per giustificare qualsiasi scelta e il suo contrario. Ci si dimentica, prima di tutto, che il concetto nacque, in Machiavelli, per dire che l’azione del Principe non poteva essere giudicata in base alle regole della morale cristiana comune: era una constatazione di fatto e se diamo credito ai versi memorabili di Foscolo, un modo per dire al popolo di che lacrime grondi e di che sangue. Marx, che non ha mai citato Machiavelli, ma preferiva guardare – almeno da giovane – al realismo di Hobbes, ammirandone prima di tutto la capacità adattiva di mantenere sempre nelle sue riflessione una stretta connessione fra eventi empirici e riflessione sui medesimi, fu sempre lontano da un concetto di autonomia della politica: lo stesso si può dire di Engels.
[1] Mario de Micheli, Le avanguardie artistiche del novecento, Universale economica Feltrinelli, Milano 1977 capitolo primo. De Micheli è un personaggio defilato ma importante della cultura comunista italiana. Ha preso parte attiva al movimento Corrente, ha fondato diverse riviste nazionali e internazionali e i suoi studi sulle avanguardie artistiche del ‘900 sono fra i più rilevanti della critica marxista novecentesca.
[2] I crimini e le aberrazioni del regime staliniano non dipendono dal partito in quanto tale ma dal partito unico che si fa stato e cancella ogni altra articolazione del potere assumendo su di sé persino le funzioni che avrebbero dovuto essere dei soviet e dei sindacati , cancellando così ogni dialettica politica e sostituendo al concetto di dittatura del proletariato che – per quanto male o bene se ne possa pensare era del tutto diverso – con la dittatura di un partito unico e poi di un capo unico dal profilo paranoico. Quanto ai partiti, anche quelli organizzati per correnti, riproducono all’interno delle correnti una struttura sostanzialmente centralista e poco cambia se invece di chiamarsi comitato centrale, il centro direttivo si chiama direzione nazionale. La DC fu un partito regime, diviso in correnti, ma lo fu all’interno di un sistema pluri partitico. Il funzionamento interno, non era molto diverso da quello dei partito socialista e comunista. In ogni caso l’enfasi sulla politica come professione appartiene a tutti i partiti. La correzione da partito di quadri a partito di massa voluta da Togliatti non cambia in modo sostanziale il modello. Se mai, alcune riflessioni importanti e potenzialmente aperte a un futuro ulteriore e diverso si trovano in Gramsci, specialmente sul tema governanti/governati.
[3] A questo proposito penso che il modello di partito che ho descritto in precedenza sia uno degli aspetti irreversibili della crisi attuale della democrazia rappresentativa e di quella che viene chiamata impropriamente politica, ma tale argomento non può essere trattato in questo contesto.
[3b] Il testo è facilmente reperibile anche in rete e per intero.
[4] La citazione è tratta da Le lotte di classe in Francia, anch’esso reperibile in rete.
[5] Karl Marx Critica del programma di Gotha, Feltrinelli Universale Economica, Milano 1968, pag.27.
[6] L’unico studioso che ha dato un quadro completo dei riferimenti di Lenin e sulle radici russe del Che fare, è Edward Carr, non tanto nella sua monumentale storia della Rivoluzione d’Ottobre, ma in 1917.
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FREUD, MARX Y EL SINTOMA, A PARTIR DE LACAN
di Maria Cristina Bacchetta
“Los no incautos son viajeros que deambulan erráticamente” J- Lacan[i]
“La demanda de hombres regula necesariamente la producción de hombres, como ocurre con cualquier otra mercancía. Si la oferta es mucho mayor que la demanda, una parte de los obreros se hunde en la mendicidad o muere por inanición. La existencia del obrero está reducida, pues, a la condición de existencia de cualquier otra mercancía. El obrero se ha convertido en una mercancía y para él es una suerte poder llegar hasta el comprador. La demanda de la que depende la vida del obrero depende a su vez del humor de los ricos y capitalistas”. C. Marx[ii]
En 1867 cuando Marx publicaba El Capital, Freud era aún un niño…Cuando Marx moría en 1883, Freudestabacon sus estudios sobre la cocaína, el inconsciente, la histeria en los hombres y dejando traslucir su pensamiento de que la sociedad Victoriana tenía mucho que ver con las neurosis, eran sus inicios. Cuando Freud muere, 1939, Lacan terminaba un seminario con Kojeve, un año antes había aparecido su texto La Familia, también eran sus inicios.
Creemos que ni Freud, ni Lacan habrían podido desarrollar su obra sin el antecedente de Marx, aunque sea Lacan quien ha podido dialogar más con los conceptos de Marx y hacer volver el psicoanálisis, sin su fundador, hacia ese campo, iluminando una dialéctica entre ambas teorías, que aporta al psicoanálisis otro horizonte social.
Podríamos pensar que Freud ha adherido a los planteos de Marx en términos políticos, pero ha estado en desacuerdo en algunas cuestiones particulares, como ser el concepto de sujeto, el pensamiento del hombre en general. Cuestión que retomamos más abajo.
Pero también fue la pléyade infinita de psicoanalistas, teóricos, filósofos, sociólogos posteriores, los que trabajosamente han ido articulando una y otra teoría, a partir o no del aporte dado por Lacan.
Sin duda se trata de tres grandes pensadores que han dejado su impronta en todos los planos de la producción de la cultura en general, la presente y la futurapor-venir de la humanidad.
Voy a tomar solo uno de los conceptos, hay otros asimismo muy interesantes.
Lacan en RSI afirma, Marx es el inventor del síntoma, que luego retomará Freud. Sin mucha más explicación esta fue su afirmación, y por algo lo decía.
Marx,sin psicoanálisis y sin clínica, pero si observando lo que ocurría socialmente en Europa, fundamentalmente Inglaterra y Francia, un proletariado profundamente descontento, más el “fantasma” del comunismo que sobrevolaba, como aparece en el Manifiesto. Marx habló de Sintoma, podríamos decir hizo una lectura sintomal: proletariado-malestar, conflicto, “fantasma” “Un fantasma recorre Europa: el fantasma del comunismo”[iii]
Hay un real con el que nos encontramos cada vez que, en búsqueda de alguna verdad caemos en la vinculación del psicoanálisis con lo político, lo social, lo económico; terreno plagado de peligrosos meandros si los hay, pero también hay sujetos que nos cuesta no insistir en ello.
Asimismo, querer llevar al campo social lo que la experiencia del psicoanálisis nos causa a nivel singular, el resultado de esa experiencia, el arreglárselas con el real de cada uno, sigue siendo un desafío.
Desafío que tanto Freud como Lacan supieron poner en función.
Freud, en El Porvenir de una ilusión escribe: la vida humana abarca todo el saber y poder hacer que los hombres han adquirido para gobernar las fuerzas de la naturaleza y arrancarles bienes que satisfagan (y también)…comprende todas las normas necesarias para regular los vínculos recíprocos entre los hombres y en particular la distribución de los bienes…Estas dos orientaciones de la cultura no son independientes entre sí; en primer lugar, porque los vínculos recíprocos entre los seres humanos son profundamente influidos por la medida de la satisfacción pulsional…Y en segundo lugar porque el ser humano individual puede relacionarse con otro como un bien él mismo, si este explota su fuerza de trabajo o lo toma como objeto sexual”. Y también “una cultura que deja insatisfechos a un número tan grande de sus miembros y los empuja a la revuelta no tiene perspectivas de conservarse de manera duradera ni lo merece” (resuena la frase de Lacan 47 años después en El Saber del Psicoanalista “…el discurso capitalista, es un discurso destinado a reventar”) pero, asimismo, en El Malestar en la Cultura cuando se refiere al ideal comunista y aclara en nota al pie que bajo el influjo de la memoria de su infancia pobre no puede sino solidarizarse con la lucha por establecer la igualdad de riqueza entre los hombres, y lo que de esta deriva, sin embargo dice, “Pero si esa lucha quiere invocar la igualdad de todos los hombres como exigencia abstracta de justicia, está expuesta a la objeción de que la naturaleza, al dotar a los individuos de aptitudes físicas y talentos intelectuales desiguales en extremo, ha establecido injusticias contra las cuales no hay salvación”. Marx y Freud tal vez parecían a veces, hablar de lo mismo, pero desde dos ángulos muy diferentes. Marx no se dedicaba al estudio del sujeto (del inconciente), sino del determinado por el Mercado y sus leyes, ocultadas a lo social, y cómo, a pesar de todo, el propio sistema, determinaría inevitablemente un sujetonuevo, capaz de llevar al mundo a una realidad de igualdad, de equidad entre los hombres. Mientras Freud no hacía otra cosa que pensar en términos de sujeto del inconsciente. Es decir, un sujeto inexistente a priori de su producción en el nivel de la palabra, del dicho.
Sin embargo, algo nos ocurre a los que hemos leído, poco o muchoa ambos, insistimos en conectarlos, mezclarlos, hacerlos pelear y reconciliarlos.
En RSI escribe Lacan «Si hacemos del hombre, no ya lo que vehiculiza un futuro ideal, sino si lo determinamos por la particularidad en cada caso de su inconsciente y de la manera en que goza de él, el síntoma queda en el mismo lugar en que lo ha puesto Marx. Pero adquiere otro sentido: no es un síntoma social, es un síntoma particular. “[iv]Pero, podríamos decir que, si Marx hubiera tenido en cuenta al hombre en los términos planteados por Lacan, probablemente no hubiera escrito lo que escribió.[1]
Se trata entonces, para el psicoanálisis, de lo particular de cada quien, sí, pero de acuerdo con sus distintos ropajes o formas, podríamos decir que, en el Sintomatambién se manifiesta la marca[2] de la época. No digo que el Sintoma se vea determinado por la época, sino que el Sintoma está hecho también por ese atravesamiento epocal, social, político, cultural y por qué no económico, donde las relaciones de producción y de poder se ponen en juego.
Con Lacan podemos pensar acorde a Freud, el Sintoma como metáfora, formación del inconsciente, símbolo, articulación significante, el Sintoma como develamiento de alguna verdad dicha siempre a medias, también, en RSI el Sintoma como la manera en que cada uno goza de las marcas de su propio inconsciente, en su aspecto Real, en lo particular de cada quien, la manera, el estilo. Pero asimismo en La Tercera Lacan va a mencionar un Sintoma Social, ante la forclusión del Nombre del Padre y la caída del lazo social, ante la posibilidad de la falta de trabajo en el mundo, el trabajo como lo que hace lazo. La Cultura eligió resignar el goce, es decir trabajar, ¿cuál será el destino de la humanidad si no hay trabajo?
En el final del análisis se tratará, sabemos, de la identificación al Sintoma y también el Sintoma como suplencia Y también a veces, delSintoma como cuarto nudo, el Sinthoma (mezcla de Sintoma y fantasma), cuando los nombres del padre no han funcionado para ese sujeto.
¿Podría pensarse el Sintoma fuera del contexto social en el que se encuentra?, cuando llega a la consulta lo primero es la envoltura formal del Sintoma, creada con los significantes de la historia particular de ese sujeto, que no están por fuera de su contexto social y cultural, no es lo mismo en distintas épocas o sociedades y por allí entramos. El Sintoma neurótico es restitutivo del lazo social, conecta allí donde algo se ha desarticulado, al mismo tiempo que se ubica en cruz al discurso del Amo.
Creo que hay un Inter juegoentre el Sintoma, el sujeto y la subjetividad de la época, es decir una cierta incidencia de lo que las relaciones de producción determinan en cada cultura, en cada momento socioeconómico, porque detrás de todo Sintomaestá el fantasma(situación de deseo que no es sin los otros)y también determinado modo de goce, determinada satisfacción pulsional, como dice Freud.Sino no sería posible pensar el Sintoma como suplencia de los nombres del padre.
Por otro lado, Freud nunca dejo de traslucir en la causa del Sintoma aspectos culturales, como una de las fuerzas en conflicto. Asi como el descubrimiento de esos síntomas difíciles de remover, que no cobran significación en la historia del propio sujeto, los “síntomas típicos”[v] que trasportarían la historia cultural, ontológica, es decir ¿sostenidos desde los fantasmas originarios?, hechos “reales” alguna vez acontecidos, en la historia de la humanidad.
¿Sujeto de la historia?, ¿Sintomasocial? Creo que tal vez esto también lo lleva a Lacan a ver en el Sintoma de Marx, el Sintoma de Freud, pero si reposicionamos al Sujeto, en su aspecto particular. En vedad para Lacan no hay singular, hay siempre por lo menos dos, el unoinvolucra el 0 (según Frege). El uno es un uno en más.
¿Cuáles son las marcas de nuestra época?, ¿cómo inciden sobre el sujeto? Por ejemplo, los movimientos feministas han introducido en la sociedad, a fuerza de mucho batallar e insistir, a nivel mundial, en los últimos años, cambios en la visibilización acerca de los derechos de la mujer, su lugaren nuestra sociedad, la necesariedad de la igualdad de derechos y de oportunidades económicas y esto se ha dado sobre todo a nivel de la juventud, no solo en las clases altas o medias (que allí cierta conciencia ya existía), sino también en las más bajas, ha llegado al pueblo esto es tal vez lo diferente, ya no se trata de una elite intelectual defendiendo los derechos de la mujer, cuestionando el lugar que la sociedad le venía dando y el lugar que ellas mismas sin querer saberlo se daban. Por otro lado, y como algo distinto al movimiento feminista, aunque a veces quedan confundidos, han ido desarrollándose las teorías de género, se ha dado lugar y desde los Estados, se han legalizado distintos posicionamientos de la sexuacionque siempre han existido, pero que quedaban afuera, sexualidades marginadas, incluso perseguidas como anormalidades peligrosas, ha comenzado a haber un reconocimiento social-legal de lo diverso en el plano sexual. Esto ha sido un gran cambio y creo que aún no ha terminado.Desde la experiencia psicoanalítica observamosque a veces, se producen algunos apresuramientos o deslizamientos que hacen volver todo a un punto inverso del que se supone queremos lograr. No se trata tanto de fundamentaciones teóricas como de consignas: “Se viene el matriarcado”, de las fallas del padre a su inexistencia, pareciera haber un salto al menos poco lógico, ¿es que acaso el matriarcado no es una continuación del terrible y opresivo patriarcado?, ¿no son dos caras de una misma moneda?Creo que las consignas de “Se viene el matriarcado” es una reacción a la perversión a las profundas injusticias de un sistema socioeconómiconeoliberal, no a los padres concretos, en todo caso es el cuestionamiento a lo que un sistema económico ha hecho de esos padres. Pareciera que se trata de una falacia de la dicotomía en juego.
La igualdad de derechos no significa el borramiento de las diferencias, sin embargo, algo de esto se desliza cuando se proponen cambios en la lengua española/latina: no más “todas” y “todos”, se trata de “todes”, no más “chicos” y “chicas” ahora sería “Chiques” etc. etc… Lo que finalmente queda borrado, nuevamente, ¿no es la mujer?La diferencia femenino-masculino no es ni mala ni buena, simplemente “es”, las palabras tienen género, no sexo. En la búsqueda de la igualdad pareciera que todo se torna “masculino”. ¿Es nuestro Sintoma? o ¿es la renegación de la falta? En lugar de sostener la no completud, la hiancia, proponiendo la ilusión de “la no diferencia”, ¿no estaríamos siendo útiles al sistema?: “todo tiene” “nothingisimpossible”… si se compra esa marca de zapatillas que el slogan representa….
Actualmente, en los sectores más pobres, solo existen madres para preservar la vida de los hijos, son solo madres las que ponen en función el deseo de preservar la vida. No hay estadísticas, pero si lo vemos en las villas, en los barrios más carenciados. En los grafitis de las cárceles, en las calles, solo existió para ese abandonado, despojado de todo, una madre. ¿Esto es culpa de los padres? ¿Es que desaparecen? Al mismo tiempo los gobiernos, representantes del Estado, se desentienden de si ese niño vive o muere, pasa a ser una cuestión de estadísticas.
Esto me hizo pensar en diversas cuestiones y también en Marx y Freud como sujetos que revolucionaron el pensamiento moderno, que dieron otro giro al discurso de su época, giro en torno a la falta, a lo que no está a la vista y que sin embargo es causa de todo el resto. En Freud podríamos llamarlo el descubrimiento del Inconsciente como sistema y con ello el concepto de castración, de corte, de un profundo desconocimiento por parte del Yo acerca de lo que ocurre en su propia casa, al mismo tiempo cuando Marx, dando vuelta la dialéctica Hegeliana, nos brinda un modo de leer la realidad, el materialismo dialectico, pone de relieve el escamoteo de la plusvalía como soporte de todo el proceso económico, también se trata de un profundo desconocimiento en ese caso a nivel social, en torno al cual gira el sistema, la renegación de un saber: La “sonrisa del capitalista”.
Plusvalía que Lacan nuevamente pasa al plano particular con su concepto plus-de-goce, y precisamente en relación con el objeto del fantasma. Ese objeto escamoteado que permite, al neurótico, recuperar una pequeña porción de goce: La sonrisa del neurótico…Pareciera que Lacan ve reflejarse lo social en el neurótico¿o tal vez al revés?, pero se trata de la banda de Moebius, no hay afuera y adentro entre el sujeto y su época cultural.
Es decir, ambos sin querer o queriéndolo, pero guiados por su búsqueda de la verdad, teniendo como efecto la producción de un saber, develan un ser hipócrita en lo particular y en lo general, que oculta, dividido, radicalmente escindido. Pero por qué pueden llegar al develamiento de esa escisión que habita las entrañas, por la no negación del conflicto, ambos enfrentan, denuncian, dan estatuto a los opuestos, a la lectura Sintoma, tanto del sujeto como de la sociedad, dan lugar a un saber, el saber de lo “no consiente”, no se trata solo de la verdad, sino también de un saber, y si hay Sintoma es porque hay conflicto, no hay unión, no hay un sistema unificado que funcione, sino una profunda brecha que divide y esto lo ponen de manifiesto: Marx en lo social[3], Freud en el “Yo”.No hay posibilidad de unidad, a lo sumo alguna tercera instancia que dialécticamente supere la antinomia, pero para volver a producirse la contradicción, la oposición.
Creo que es a partir de la lectura de Lacan, que podemos recobrar el aporte que la teoría de Marx hace al psicoanálisis.
Y volviendo a las marcas de nuestra época, ¿a dónde va “todes”? ¿no corre el riesgo de terminar siendo un velo ideológico a las injusticias de un orden económico cada vez más fuerte? Y sin saberlo, ¿conveniente al sistema que pretende subvertir? Como sea, convoca, anuda el malestar social, el tema es ¿de qué manera? ¿Cuál es su oponente? ¿Los hombres? ¿El patriarcado? ¿La figura paterna?¿los padres? ¿Es ese realmente el causante de las desigualdades e injusticias?La búsqueda de la anulación de la diferencia femenino-masculino ¿No lleva nuevamente al ideal de la unificación, del uno imposible?
Lacan nos lega su RSI, realizar lo simbólico de lo imaginario osu IRS, imaginar lo real de lo simbólico. Lacan atribuye lo primero a la religión y lo segundo a la matemática. Cuando Freud plantea un yo tironeado por 3 amos, el ello, el superyó y la realidad, nunca mencionó que esto pudiera alguna vez unificarse, a pesar de los posfreudianos, sobre todo de la escuela americana, que proclamaba un Yo “adaptado”. Ahí también se plantea el Uno.
Tanto Freud como Marx, inauguralmente, supieron ver que había corte, falta, agujero, castración y lo llevaron a la acción. Que lo peor está también en el hombre, pero en todos y cada uno. Que no hay elección divina de un orden dado. Primero por Dios, luego por la Ciencia, como si fuera el nuevo dios. Supieron salir del evolucionismo progresista, de la naturalización de la injusticia humana, de pobres y ricos como una consecuencia de la naturaleza, o de alguna ley divina. Que hay leyes muy precisas e intenciones muy precisas que llevan al mundo donde estamos hoy, 85 o 60 personas detentan tantos recursos como la mitad del planeta[vi], esto ya lo sabemos todos. ¿Será tarde?
Ese ha sido su legado, ¡hacernos ver!, dar lugar a ese otro saber que está allí, pero nos resistimos a saber, y nosotros seguimos trasmitiéndolo.
La mercancía tiene carácter de fetiche dijo Marx, el fetiche es aquello que se coloca para renegar de la falta del falo en la madre concluyo Freud, la única perversión es el fetichismo, dijo Lacan.
Entonces, el capitalista, ¿este sistema capitalista este discurso como muestra Lacan, que rechaza la castración y niega el amor, ¿no es una perversión?Sistema que nos convence que el objeto de satisfacción existe, solo hay que adquirirlo, para el discurso capitalista el a no está en falta, se trata de una sustitución al infinito, lo que produce un efecto de completud. Lo que se oculta es los millones de personas que mueren de hambre en el mundo, efecto del mismo sistema. Discurso mentiroso, perverso, construido y sostenido, simultáneamente alienados-sometidos a él, tantopor hombres como por mujeres, padres y madres, porque lo que está en juego essu repetición permanente que penetra en todos a través de los medios de comunicación masiva.
Simultáneamente en lo social y científicode nuestra época, contrariamente a la victoriana de Freud, qué difícil se hace identificar qué es lo perverso, cada vez se invisibiliza más, fue perdiendo entidad, lo que para Freud era de suyo catalogar como “perversión” se ha modificado, a tal punto que ahora pareciera que no hay ninguna entidad de lo perverso, es como si ningún sujeto pudiera catalogarse de tal.¿Nuestro sistema social y económico es perverso?, Si, lo es, sus actos son para goce del Otro, la verdad es renegada, la castración forcluida, junto a los Nombres del Padre, ¿tal vez por eso ha desaparecido el sujeto perverso?, porque hay identidad? El sistema no puede nominar lo que le es idéntico. Tal vez en esto podríamos pensar lo no incauto de Marx, los no incautos yerran dice Lacan, jugando con el sonido de “los nombres del padre”, en el sentido de lo errático, un andar errático. Marx coloco en el proletariado una unidad que fue imposible[vii], fue no-incauto en ese sentido. Pero tal vez fue incauto de un Real, la perversión, porque para ello debía incluir el sujeto, pero esto no le hubiera permitido llegar donde llego, ni demostrar lo que demostró. Asi como Lacan dice que Freud fue incauto de la telepatía y el ocultismo, no creía en ellos para nada, los dejo afuera, eran su Real.
Es necesario que el niño sea incauto de algún Real para que el nudo se anude bien. EscribeLacan en “Les non-dupes errent” o “Les noms du père »[viii]
¿Pero qué es lo que podemos oponer a la perversión?, el Sintoma, asi como el fetiche es operatoria de la renegación, el Sintoma es esa operación por la cual algo del deseo se muestra, algo de la verdad se impone, el Sintoma es producción del inconsciente, es sujeto en acto, el fetiche lo obtura, lo hace desaparecer.
El fetiche es autoerotismo, es la ausencia exitosa del lazo social, el Sintoma es la prueba de que necesito del otro. El fetiche me permite evadir los sinsabores del amor, el Sintoma es efecto de esos sinsabores. El fetiche reniega la falta, el Sintoma poniéndose en cruz al discurso del Amo, la pone a la vista, devela como mensaje el ocultamiento de alguna verdad.
Y si hablamos de oposición, hablamos de dialéctica, ninguno de los términos desaparece, se dialectizan.
Lo verdaderamente sorprendente es que a pesar de todo siga ocurriendo que el sujeto busque su verdad por la vía de otorgarle un sentido al síntoma, darle una explicación buscando en su historia. Y también lo verdaderamente asombroso que siga siendo la memoria esa clave que nos permita existir en un cierto sentido de vida. Memoria y represión simultáneamente, siguen siendo el descubrimiento freudiano esencial para pensar la importancia del inconsciente y de la resignificación histórica, a lo que habría que agregar el materialismo histórico de Marx para que pueda develarse, aunque sea a medias, alguna verdad social.
[i]J. Lacan Seminario 21 “Les non-dupes errent” o “les nom du perres”
[ii]Karl MarxManuscritos Económicos y filosóficos de 1844
[iii] Revista Interseccion La Lectura en Psicoanalisis Nro. 1, Julio 1993 El Malestar en la Cultura, Marx, ¿inventor del sintoma? por RaulCerdeiras
[iv]J. Lacan RSI clase 6.
[v] S. Freud, conferencia 17. El sentido de los síntomas. Ed. Amorrortu
[vi] Conferencia deMonique Pinçon-Charlot socióloga francesa “La violencia de los ricos”“Hay una guerra de clases de los ricos contra pobres” https://www.youtube.com/watch?v=00MutggXZjo
En esa misma conferencia ella recoge también una frase del Papa Francisco I, “los obreros han pasado de un estatus de explotados al de desechos”
[vii] En la medida de poner al proletariado en el lugar del ideal unificante, Marx vuelve a cerrar lo que el mismo había abierto, la hiancia estructural de todo orden social.Alemán, J., La experiencia del fin. Psicoanálisis y metafísica, Málaga, Miguel Gómez Ediciones, 1996, pág. 75
[viii] J. Lacan, Seminario 21 (1973-1974)
[1] Asimismo, Marx ha escrito sobre los efectos subjetivos del sistema capitalista sobre los hombres. Puede verse en el Manuscrito de Paris un escrito de Marx sobre el amor y la alienación. También sobre el deseo sexual, la repetición, etc. etc. Luciano Parinetto, filósofo notable por sus estudios sobre Marx y la subjetividad. Tambien en Adriano Voltolin, texto presentado en el Congreso InternacionalPsicoanalisi e classi socialien 1979 una relazione sul concetto di morte in Marx. [traducido al español]
[2] Si el inconsciente son marcas, y se produce en un decir y es allí donde el sujeto se presenta, ese decir no está por fuera de un lazo social, no está por fuera de la lengua como producción social, no está por fuera de una época. Por ejemplo, hace poco tiempo me consulto un paciente porque a él le gustaba vestirse de mujer, a veces, “y todo lo que se dice ahora, me hizo pensar en ¿qué seré yo, travesti?, ¿fetichista?, ¿estoy loco doctora?” es algo que ha hecho toda su vida, sin embargo, allí donde se atraviesa lo social, hace Sintoma, hace pregunta.
[3] Por otro lado, cuando decimos que Marx apunta a lo social no se trata de “sin sujetos”, sin un pensamiento acerca de los hombres y de la humanidad, sino desde qué lugar es posible modificar las condiciones de vida del ser humano, en cuyo centro está el hombre, la preocupación por la humanidad,la ruptura de las desigualdades, la no naturalización de la insatisfacción de algunos debido a un exceso de goce de otros.
Bibliografia
Sigmund Freud, Ed. Amorrortu To. XV y XVI Conferencias de Introduccion al Psicoanalisis: Los caminos de la Formacion de Sintoma, El sentido de los Sintomas
Sigmund Freud, Ed. Amorrortu To. XIX: El Yo y el Ello
Sigmund Freud, Ed. Amorrortu To. XXI: El Porvenir de una ilusión, El Malestar en la Cultura.(1927-1931)
Sigmund Freud, Ed. Amorrotu: Por qué la guerra?
Sigmund Freud, Ed. AmorrortuTo. : El Fetichismo.
J. Lacan: Seminario 11, Los cuatro conceptos del Psicoanalisis. Ed. Seix Barral
J. Lacan: Seminario 12, Problemas cruciales. EFA
J. Lacan: Seminario 20, Encore. Ed. Paidos
J. Lacan: El Saber del Psicoanalista.
J. Lacan:Seminario 21, “Les Non-Dupes Errent » o « Les Noms Du Père” (1973-1974) Ineditohttp://ecole-lacanienne.net/wpcontent/uploads/2016/04/1974.03.19.pdf
J. Lacan : Seminario 22, RSI, versión critica on-line Ricardo Rodriguez Ponte.(1975)
C. Marx Ed. Fondo de Cultura Económica, México Febrero de1971 : El Capital, Critica de la EconomíaPolítica.(1867-85-94)
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