Gli Annales e Le Goff: un ricordo ormai antico
Ero studente di filosofia alla Statale negli anni intorno al 1968 e uno fra i miei ricordi più significativi è costituito dalle lezioni di filosofia medievale, in cui Franco Alessio ci parlava degli “Annales”, della storia della mentalità e in particolare di Jacques Le Goff, che fa parte della terza generazione di questo gruppo di storici. Qui ci si liberava dalla nefasta definizione a carattere crociano delle scienze antropologiche come “pseudoconcetti”, per chiamare direttamente in causa l’etnologia1 e tutta una serie di autori come Levy Bruhl, Levi Strauss, Evans-Pritchard, o Klekhon, che erano in grado di dare un contributo essenziale anche per quanto riguarda il lavoro storiografico. In questo contesto si mettevano da parte anche i dogmatismi del materialismo dialettico, ancora in auge in qualche ambiente di quegli anni, che tuttavia rappresentava solo uno dei tanti modi per leggere Marx. Come scrive le Goff:
“La storia della mentalità nasce da una reazione all’imperialismo della storia economica. Non è però la rinascita di uno spiritualismo superato (indefinibile psiche collettiva) né la sopravvivenza di un marxismo volgare che vi cercherebbe la facile definizione di sovrastrutture nate meccanicamente dalle strutture economiche2 … Il livello della storia della mentalità è quello del quotidiano e dell’automatico. È ciò che sfugge ai soggetti individuali, perché esprime il contenuto impersonale del loro pensiero: è ciò che hanno in comune Cesare e l’ultimo soldato delle sue legioni, Colombo e il marinaio delle sue caravelle.”3
Per farci un’idea concreta sul pensiero del nostro autore, e sul complesso intreccio che egli vede fra strati diversi della cultura, può valer la pena di citare una storia sconcertante, riportata dallo stesso Le Goff, con la sua grande forza narrativa. Si tratta di un ricordo del papa Gregorio Magno, vissuto fra il sesto e il settimo secolo.
“Nel monastero di Roma di cui Gregorio era stato abate, un monaco sul letto di morte confessa al fratello di aver nascosto tre soldi d’oro, cosa vietata dalla regola che obbliga i frati a avere tutto in comune. Informato del fatto, Gregorio ordina che il moribondo venga lasciato spirare in solitudine, senza una parola di conforto, affinché terrorizzato espii il suo peccato e la sua morte angosciosa valga d’esempio per gli altri frati. Perché questo abate, colto e istruito, non si è recato al capezzale del moribondo per aprirgli le porte del cielo con la confessione e il pentimento? Su Gregorio si è imposta l’idea che occorre scontare il peccato con segni esteriori: una morte e una sepoltura ignominiose (il corpo è gettato sul letamaio).
La consuetudine barbara, (introdotta dai goti, o riemersa da antiche profondità psichiche?) del castigo fisico è prevalsa sulla regola. La mentalità ha vinto sulla dottrina.”4
Per quanto riguarda le “antiche profondità psichiche”, Le Goff chiarisce tuttavia:
“Anche se attingono a tradizioni molto antiche, questi modelli non si spiegano con le tenebre della notte dei tempi, o con lo psichismo collettivo. La loro genesi e la loro diffusione muovono da centri di elaborazione, da ambienti che le creano e da gruppi e mestieri che le trasmettono.”5
In sostanza le “profondità” non sono qualcosa di diverso dalla storia, come sostiene il paradigma primordialista, ma esprimono tempi diversi della storia stessa, dove la mentalità è fra gli strati più profondi e ad un tempo più lenti nel modificarsi, ma possiede una sua dinamica, legata ai palazzi, o ai monasteri che foggiano le mentalità, al mondo popolare che riceve quegli stessi modelli nei suoi ambienti come il mulino, o la taverna, in fine ai media come le prediche e le immagini dipinte, “dove si cristallizzano le mentalità”. Basti pensare alle profonde modificazioni di mentalità legate allo sviluppo urbanistico, già a partire dall’undicesimo secolo, che certo non possono nascere da profondità psichiche interiori, staccate dalla vita vivente.
Tutto ciò, per me, venne a costituire un’importante lezione, che mi indusse a leggere la storia non in termini di cause ed effetti, ma piuttosto di ragioni sufficienti, stratificate e spesso contraddittorie, anche al di là della consapevolezza di quelli che furono i suoi
attori. Si tratta, come dice Le Goff, di una ricerca che “si avventura dall’altra parte dello specchio.”6