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CORONAVIRUS E LA SOLITUDINE DELLA NORMALIZZAZIONE

letteredi Mariangela Gariano

Da oltre due mesi ormai il governo italiano ha dichiarato lo stato d’emergenza in ottica preventiva relativamente al rischio di diffusione del virus Covid-19. I primi casi di contagio in Italia sono stati registrati in Lombardia nell’ultima settimana di febbraio, ma soltanto con il decreto del 9 marzo, sono state varate misure più restrittive fino a quelle che vietano ai cittadini di uscire di casa se non per motivi strettamente necessari, quali lavoro, urgenza medica e spese. I locali hanno abbassato le saracinesche da un giorno all’altro, prima ancora le scuole hanno chiuso le porte lasciando a casa gli alunni dai più piccoli ai liceali, che dovranno affrontare i tanto temuti esami di maturità con una preparazione costruita su lezioni online. Ma la cosiddetta didattica a distanza, già lo suggerisce la stessa espressione, interpone una distanza tra chi spiega al di qua di uno schermo e chi cerca di seguire e apprendere al di là del display di un computer. E tutti gli alunni con difficoltà? Basti pensare ad un bambino che soffre d’autismo, alle difficoltà che incontra nel tentativo di seguire le lezioni in videochiamata: come racconta Noemi Cornacchia, presidentessa dell’Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici (Angsa) dell’Emilia-Romagna, sulle pagine de Il Fatto Quotidiano[1]. In questi casi quanto può essere efficace una didattica, degna di questo nome, ridotta a video lezioni, che stravolge la relazione tra l’alunno e il professore e, ancor di più, quella tra i compagni di classe? Viene posta ancora più difficoltà a quei professori che cercano di essere vicini, con la voce e con lo sguardo, agli alunni che si ritrovano ancora più distaccati dalle lezioni. E allora ci si perde, si aprono lacune, distanze, ci si sente soli. È solo ogni cittadino che, in questo periodo storico, si sente sempre più vulnerabile. Un senso di vulnerabilità che cresce ad ogni bollettino della Protezione Civile, che elenca numeri su numeri, di contagi, di decessi, di ricoveri. Le maglie della rete sociale si allentano lasciando un vuoto. È il vuoto che riempie in questi giorni le città, che necessariamente si svuotano per limitare il contagio ma che, per il modo in cui è avvenuto, ha prodotto per non poche persone una logica paranoide, portando non solo ad aver paura dell’altro, perché potenzialmente contagioso, ma anche ad additare chiunque si aggiri per le strade, senza conoscere le motivazioni che lo portano ad uscire di casa. Piazze vuote e case piene. Se da un lato c’è chi sperimenta quotidianamente la propria solitudine concreta, dall’altro lato ci sono famiglie che si trovano a dover condividere spazi e giornate intere. Se ingenuamente ci viene consigliato, a prescindere dalla nostra storia, dalla nostra situazione, di stare a casa per il benessere personale e collettivo, di approfittare di tali condizioni per passare più tempo con la propria famiglia, ad uno sguardo più attento ci sono vittime di violenza, psicologica e non solo, per le quali casa non è più un rifugio che tiene al sicuro, ma diventa una vera e propria prigione, da cui tentare di scappare in qualche modo. In non pochi casi si tratta di donne che subiscono violenza da mariti, compagni, e che in questo periodo di “reclusione” a casa non hanno il coraggio di chiedere aiuto o non ne hanno semplicemente la possibilità: vivono in casa tutto il giorno a stretto contatto con un compagno o marito geloso, che magari controlla anche il cellulare oltre che i movimenti, anche tra le mura domestiche. Ci sono poi donne che credono che, viste le misure restrittive attuali, i centri anti-violenza siano stati chiusi. Si è assistito allora ad un vertiginoso calo di chiamate in arrivo ai centri. Le risposte delle istituzioni sono state diverse: ad esempio grazie all’iniziativa “mascherina 1522”[2] è possibile chiedere aiuto in farmacia esplicitando semplicemente questa formula in codice, sono, inoltre, disponibili linee telefoniche attive 24 ore su 24 [3].
Questo è solo uno degli aspetti problematici che la situazione attuale comporta, ma ve ne sono tanti altri da tenere in considerazione: dai pazienti psichiatrici ai cosiddetti “normali”, la situazione pone in difficoltà tutti (si vedano ad esempio i suicidi avvenuti in questo periodo
[4]). Alcuni centri diurni hanno dovuto chiudere, per esempio perché, per ragioni di spazio, non potevano rispettare le misure di sicurezza, così alcuni pazienti si trovano in famiglia a dover gestire le proprie difficoltà senza alcun supporto specializzato. Tra gli psicoterapeuti molti hanno deciso di convertire le sedute di persona in modalità online, contattando il paziente con videochiamate o semplicemente chiamate vocali. Eppure si tratta di una comunicazione fragile, vulnerabile, che rientra in una realtà lontana da quella che vivevamo: gli scambi di sguardi diretti sono sostituiti da sguardi un po’ spaventati un po’ incuriositi dalla nuova modalità ma che si perdono nel display di un computer, niente più stretta di mano che accoglie il paziente nella stanza della terapia, niente attesa fuori. Per chi segue un percorso psicoanalitico, il letto di casa può diventare il nuovo divano. L’analisi online, come altre forme di psicoterapia, non è di certo una novità ed è già da anni che gli esperti dibattono per comprendere se ci sono le condizioni per una “terapia smart”, ma la situazione ha costretto ormai ad attuare tale formula. Gli effetti che avrà non si possono ancora conoscere, dunque, non si può far altro che aspettare l’elaborazione dei terapeuti.
C’è da chiedersi allora come si muovono le istituzioni della cura psicologica. Nell’ambito italiano, ogni ordine regionale degli psicologi offre, sul proprio sito web, diversi servizi, dagli aggiornamenti sui nuovi decreti e sulle conseguenti disposizioni per i professionisti e per i cittadini, a linee telefoniche e servizi di consulenza online proprio per rispondere a chi domanda aiuto. Tutti gli ordini regionali, inoltre, rimandano ad un vademecum, un comodo pieghevole da poter stampare
[5], in cui sinteticamente si offrono al visitatore cinque “indicazioni anti-panico” e si consigliano tre “buone pratiche per affrontare il coronavirus”, che viene definito “fenomeno collettivo e non personale”. Eppure, viene continuamente messo l’accento sulle responsabilità dei singoli, sul fatto che spesso siano troppo indisciplinati (basta pensare alle migliaia di multe fatte in questo periodo[6]), e sono sempre più le singole persone che vanno in cerca di aiuto, finendo sommersi da una marea di informazioni e servizi, che lasciano smarriti. La persona si sente più sola. Nello stesso pieghevole si specifica che “questo breve vademecum non vuole essere esaustivo né sostituirsi ad un aiuto professionale. È un contributo per riflettere ed orientare al meglio i nostri pensieri, emozioni e comportamenti”. Tuttavia i siti sono pieni di slogan, consigli pratici, campagne anti-panico sotto hastag quali “#psicologicontrolapaura” (per l’ordine nazionale) e “#lopsicologotiaiuta” (per l’ordine degli psicologi della Lombardia), ed ecco che il soggetto rischia di ricevere, già pronta e usufruibile, una risposta, uguale per tutti, che non tiene conto dei vissuti strettamente soggettivi. Naturalmente, istituzioni come gli ordini degli psicologi, sia quelli regionali sia quello nazionale, non offrono soltanto risposte pronte ed uguali per tutti, bensì sono disponibili diverse soluzioni, corrispondenti a diversi approcci terapeutici.
Se lo studente con difficoltà cade nelle sue lacune perché non più sostenuto da una rete sociale stabile, il soggetto in difficoltà, nel momento in cui si muove per chiedere aiuto, viene travolto da un processo di omologazione: “è questo che devi fare, è questo che devi provare per affrontare al meglio la realtà”. Dove finiscono le differenze che ci caratterizzano? Le domande di aiuto, inascoltate, finiscono unendosi al silenzio delle strade, delle piazze. Allo stesso modo dagli alti vertici dell’amministrazione giungono disposizioni sempre più restrittive, alcune delle quali sono imposte senza neanche assicurarsi che i cittadini abbiano la possibilità e gli strumenti per poter seguire tali disposizioni. È il caso dell’obbligo di indossare la mascherina, deciso dal governo della Lombardia, che si scontra con la realtà della carenza di protezioni sanitarie adeguate su tutto il territorio
[7]. Si aggiunge allora a tale disposizione che è possibile coprire bocca e naso anche con una sciarpa o un foulard. Tutte misure atte a identificare un nemico, che minaccia l’intera collettività.
Tuttavia il nemico non è più il migrante, non è più neanche il paziente psichiatrico o il criminale, questo nemico infatti è invisibile. Per tale ragione, come ha chiaramente riportato Adriano Voltolin, siamo di fronte ad un nemico definito subdolo. L’angoscia spinge ad allontanarci per proteggerci dal pericoloso nemico, in questo caso subdolo perché si trasmette da persona a persona, ma non sempre causa sintomi manifesti. Allora qualsiasi persona può essere potenzialmente contagiosa. L’unico criterio a cui rispondere per divenire nemici del gruppo è la trasgressione delle leggi imposte dal leader. Questi gli effetti di un’angoscia persecutoria che porta il gruppo in assunto di base, come direbbe Bion, di attacco e fuga, il quale tende “a evitare qualunque manifestazione del “nemico”, […] responsabilizzare ogni individuo o sottogruppo e, quindi, attaccare il nemico”
[8]. D’altronde, come scrive Giuseppe Oreste Pozzi, comprendere le dinamiche del gruppo è fondamentale per rispettare il soggetto, ma è “ben diverso che strumentalizzare i gruppi per piegarli al proprio potere ed alla propria avidità di dominio”[9].
Come intervenire allora? Se dai vertici politici giungono ai cittadini disposizioni sempre più restringenti, fino a sfiorare una sorta di repressione, dalla parte di alcune terapie psicologiche, di approccio cognitivo-comportamentale, si tende a dare la stessa risposta alla domanda di aiuto di tutte quelle persone che risentono degli effetti delle stesse restrizioni. Per chi soffre d’ansia, è pensata una terapia che intende insegnare al paziente tecniche comportamentali, come il rilassamento muscolare, per affrontare lo stato di apprensione, mentre si lavora per ridurre la tendenza a vivere come catastrofici eventi quotidiani. Se si soffre invece di attacchi di panico, il trattamento prevede l’insegnamento di tecniche di controllo della respirazione, vengono inoltre illustrati ai pazienti gli errori che compiono nell’interpretare situazioni ambigue esterne e sensazioni corporee
[10]. Sembra quasi che alla base di questi interventi si presupponga che il paziente non sappia o non sia in grado di elaborare le informazioni provenienti dall’ambiente esterno, ma anche interno, e che quindi sia necessario un intervento psicoeducativo che orienti la persona verso un pensiero logico adeguato.
Tentativi di rispondere alla sofferenza psichica, come la diffusione di un vademecum fatto di indicazioni e consigli su come affrontare la situazione emergenziale, terapie brevi orientate all’estinzione del sintomo (ansia, attacco di panico), sono risposte apparentemente diverse, ma profondamente unite dal modo in cui orientano la persona ad adattarsi, in un’ottica conformistica, a un ideale ed universale funzionamento psichico, che vada bene per tutti. In ultima istanza, non si tiene conto delle soggettività e dell’unicità della persona, che va accolta e non normalizzata.

[1] La Cara R., Giornata mondiale Autismo nell’anno del Coronavirus. “La scuola era l’unico momento di socialità, ora è dura”. “Stare in casa è anche perdere le conquiste di anni di terapie”, in www.ilfattoquotidiano.it.
[2] Catizone A., Come sono arrivata a coinvolgere le farmacie nella campagna 1522, contro la violenza sulle donne, in www.huffingtonpost.it .
[3] Ruggiu V., Console S., Coronavirus, i centri antiviolenza: “Le donne non riescono a chiederci aiuto. E noi siamo senza fondi”, in www.repubblica.it .
[4] Cavalli G., Coronavirus, la disperazione dietro alla pandemia: quei dati sui suicidi che non possiamo ignorare, in www.tpi.it .
[5] Si veda il “vademecum psicologico coronavirus per i cittadini”, in www.psy.it .
[6] Si vedano: Molinari P., In Italia è record di multe. Ancora troppi in strada, in www.agi.it;Ziniti A., Coronavirus, un sabato di multe record. Per Pasqua check point sulle strade, in www.repubblica.it; Frignani R., Coronavirus, più gente nelle strade:15 mila multe in 48 ore, in www.corriere.it.
[7] Liso O., Coronavirus, Sala: “Obbligo mascherine? Fornirle alle farmacie e controllare prezzi”. Fontana: “In Lombardia ne distribuiamo tre milioni gratis”, in www.milano.repubblica.it .
[8] Grinberg L., Sor D., Tabak de Bianchedi E., Introduzione al pensiero di Bion, Raffaello Cortina, Milano, p. 9.
[9] Pozzi G. O., Il soggetto dell’inconscio e la cura. Autismo e psicosi nell’incontro quotidiano con il Reale, FrancoAngeli, Milano, p. 144.
[10]J. Hooley, J. Butcher, M. Nock, S. Mineka. Psicopatologia e psicologia clinica. Pearson, Milano-Torino, p. 233-241.


La Società di Psicoanalisi critica promuove lo studio, la ricerca e la formazione nel campo della psicoanalisi di Freud e di coloro che dopo di lui ne hanno continuato l’opera.
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