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Franco Romanò

Scrittore, critico letterario e poeta, è vicepresidente della Società di Psicoanalisi Critica. Ha pubblicato romanzi, poesie e saggi critici su varie riviste specializzate. Attualmente è condirettore della rivista “Il cavallo di Cavalcanti”.

MEMORIA E MENZOGNA

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Riporto qui di seguito lo stralcio da un più ampio intervento di Alessandro Portelli pubblicato sul Manifesto il 21 aprile scorso:

Antifascismo oggi significa lotta contro razzismi, discriminazioni, violenze, e non c’è dubbio che queste cose oggi in Palestina, in Kurdistan, e magari in South Dakota, continuano ad accadere. Pretendere di non parlarne significa ridurre il 25 aprile a una mesta e insignificante rievocazione di glorie passate… Molti anni fa, su iniziativa di questo giornale, partimmo in migliaia sotto la pioggia per andare a Milano a dire a Berlusconi, Fini e Bossi che l’antifascismo era vivo. Oggi a Milano sfilano in neonazisti. Chissà dove stanno i «veri» partigiani. Dove stanno i «veri» partigiani il
25 aprile. Con stupide pretese incrociate stiamo riuscendo a realizzare quello che non era riuscito a Berlusconi: cancellare la Festa della Liberazione
.”

Umberto Eco e Ida Magli

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Premessa

Il destino, talvolta illuminante, ha posto queste due morti l’una accanto all’altra. Resistevo un po’ alle sollecitazioni di Adriano Voltolin a intervenire subito su quella di Eco perché la travolgente marea di peana celebrativi mi sembrava troppo alta per fare spazio a riflessioni più ampie.

La morte di Ida Magli, però, mi ha messo di fronte al mio personale desiderio di parlarne subito e quindi anche alla necessità di interrogarmi sul perché di tale differenza. Non esito a dire che per me Ida Magli è stata una maestra e lo è ancora; questo non mi impedisce di criticare le prese di posizioni sull’Islam, sull’Europa, ma anche di riconoscere, nella sua esasperazione, la radice di alcune verità negate. Su questi aspetti del suo pensiero, tuttavia, credo sia meglio dedicare in futuro una riflessione specifica; sia per evitare una sovrapposizione di piani, sia perché temo che i pochi servizi che le verranno dedicati nei primi tempi, saranno più focalizzati sulle polemiche politico culturali piuttosto che sulla sua opera di antropologa.

Con Eco invece il rapporto è assai più distaccato, più spesso critico.

NARRARE LA VITA, FERMARE IL TEMPO; LE PARABOLE DI PASOLINI E IL NOSTRO TEMPO

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La propensione di Pasolini per modi espressivi diversi dalla poesia prende forma e maggiore consapevolezza in un momento di crisi, di passaggio e confine; siamo alla fine degli anni ’50, la società italiana sta cambiando profondamente. Il poeta è convinto che la lingua della poesia italiana si sia irrimediabilmente deteriorata; lo dice qui e là in versi (In morte del realismo è del 1960)1 e in diverse interviste di quel periodo. In breve tempo, tuttavia, questa denuncia divenne soltanto il primo passo di una riflessione che sarebbe andata ben oltre la lingua di poesia per investire l’italiano come idioma nazionale.

Penso si debba partire da qui per capire certe scelte di Pasolini e anche la lungimiranza di intuizioni di cui ora vediamo tutta la nefasta portata.

  1. Il testo si trova all’interno de La religione del mio tempo e ne chiude la seconda parte. Imitando il famoso monologo di Antonio nel Giulio Cesare di Shakespeare, Pasolini pronuncia l’orazione funebre della stagione neorealista. In: Pier Paolo Pasolini, Le Poesie, Garzanti, Milano 1976, p.283-89. []

PIETRO INGRAO E LA NOSTRA GENERAZIONE

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Pietro Ingrao è stata una presenza al tempo stesso lontana e nell’ombra ma che mi ha in qualche modo accompagnato da sempre, in modo asimmetrico e quasi mai a tempo. Oggi mi riscopro a pensare che anche il suo rapporto con la poltica, pur intensissimo, è stato quello di un equilibrista, anche quando sembrava essere al centro, pure con qualche potere non da pco, come quando diresse l’Unità oppure fu eletto Presidente della Camera. Anche in momenti come quelli e per di più nel mezzo di tragedie come quella del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, Ingrao era sempre un altrove, non si risolveva mai completamente nel ruolo e nemmeno nella passione politica strettamente intesa.

Gunter Grass

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L’autore de Il tamburo di latta non è al top delle mie preferenze letterarie, ma ho sempre ammirato la sua generosità debordante, la franchezza delle sue prese di posizione anche rispetto alle questioni più scomode. Ne cito due perché mi sembrano decisive sia per quello che esprimono in sé sia per quello che gli hanno tirato addosso.
Prima di tutto il carteggio fra di lui e il Nobel giapponese della letteratura Oe, dove entrambi si battevano contro la rimozione del passato di entrambi i paesi, cui Grass aggiungeva un invito ai governi del suo paese a rendere omaggio ai 20.000 soldati tedeschi fucilati perchè antinazisti. In secondo luogo le nette posizioni a favore del popolo palestinese, che gli valsero naturalmente l’accusa di antisemitismo da parte dell’establishment paranoide israeliano.
Grass è sempre stato un po’ ruvido nei suoi atteggiamenti, qualcosa in lui mi ricorda un altro grande maledetto tedesco del dopoguerra: il regista cinematografico Rainer Werner Fassbinder.

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